2000 Spiti

Il trek nella valle dello Spiti

in occasione del Kalachakra

E’ stato un viaggio interessante, in un ambiente molto aspro dove l’altipiano tibetano tende a sfaldarsi in innumerevoli frane e ghiaioni scavati da fiumi che scendono impetuosi dalle nevi eterne e dove i paesetti hanno intorno i prati più verdi che esistano.  Un viaggio in una valle nascosta ed ancora non molto frequentata, popolata da genti tibetane, dove si trovano monasteri antichissimi che conservano intatto il fascino e lo splendore di raffinati affreschi ed eccezionali sculture lignee.  Un viaggio dove abbiamo potuto incontrare il Dalai Lama, ascoltare i suoi preziosi insegnamenti nei primi tre giorni della festività religiosa del Kalachakra e vivere assieme a migliaia di pellegrini venuti da tutto il Mondo.

KIATO  3860 m.   5 Agosto

Catapultati direttamente da Manali in 8 ore di jeep, siamo giunti solo alle 19 in questo piccolo paese tibetano ed ora stiamo cenando: la nostra prima cena in tenda. I miei compagni, 11 persone, sono riunite nella tenda mensa che il premuroso Thakur ci ha fornito e manco a dirlo cominciamo con thali (riso e lenticchie): un classico di tutta la cucina indo-nepal-tibetana. Fortunatamente tutti sono di bocca buona ed almeno per ora non patiscono la quota: si abbuffano con soddisfazione anche se io predico che la prima sera è meglio mangiare poco perché poi ci si sente male… Abbiamo spazzolato anche il dolce, amorevolmente preparato dallo staff, ed ora mi accingo ad informarli su alcune cose che è meglio conoscere prima di affrontare questo trek.

  • Mi raccomando le creme, qui il sole scotta e la zona è molto alta. Se non useremo creme, ma a volte anche usandole, ci verranno degli eritemi.
  • Meglio portare sempre i rullini nello zaino sulle proprie spalle perché nel borsone portato dai cavalli possono cuocersi per il sole.
  • Attenzione all’acqua : le popolazioni non sono molto pulite ed inoltre vicino all’acqua ci sono sempre molti escrementi di animali che possono avere dei parassiti. Usare quindi potabilizzanti o filtri, ma bere molto poiché in quota c’è anche una forte evaporazione polmonare.
  • Controllare se si fa la pipì e verificare di non avere le estremità gonfie o le borse sotto gli occhi. Il primo sintomo dell’edema è la ritenzione idrica.
  • Camminare lenti, salire tranquillamente. Non siamo venuti per fare delle corse o battere dei primati . Considerare che una volta cominciato il mal di montagna difficilmente scompare e noi non possiamo scendere più in basso di 3800 m. , quota del nostro fondo valle.
  • Non mettere pantaloni corti perché in tutto l’Oriente le gambe danno scandalo. Nessuno ci dirà niente, perché  sono molto tolleranti, ma indossarli è una grave forma di cattiva educazione e mancanza di rispetto nei confronti della popolazione locale.
  • Avvicinarsi con circospezione alle case, potrebbe esserci un molosso tibetano. I molossi tibetani sono tutti neri, della stazza di un S. Bernardo ed addestrati per essere feroci cani da guardia. Prima azzannano e poi verificano chi è.  Inoltre in queste regioni la rabbia è endemica e noi siamo lontani da qualsiasi ospedale.
  • Non dare o regalare nulla a nessuno se non in cambio di un altro regalo o di un servizio. Il regalo gratuito tacita la nostra coscienza e ci fa sentire “molto buoni”, ma non risolve nessun problema anzi induce la popolazione a chiedere in futuro ed a trasformarsi in mendicante.
  • Non entrare in templi a capo coperto o mezzi nudi (vedi brache corte) e non rivolgere mai la pianta dei piedi ad un Lama o ad una statua di Buddha. Non entrare in un tempio con le scarpe, soprattutto se di cuoio.
  • Portare con sé tutto quello di cui si pensa avere bisogno perché i bagagli non sono reperibili per tutta la giornata ed a volte i cavalli percorrono strade diverse dalla nostra.

I miei compagni mi guardano perplessi e chissà cosa pensano del “decalogo”.  Sui pantaloni corti avevo già espresso le mie idee quando a Manali avevo visto comparire un paio di jeans tagliati, ma adesso anche tutti questi, diciamo così, consigli…..   Ma sono sorridenti, tutti elettrizzati dalla partenza l’indomani per il trek.  Il buio lascia il posto ad una stellata incredibile ed alcuni, che non avevano mai visto un cielo senza smog, rimangono allibiti “di quante stelle ci sono in cielo” e ”di come è grande e bianca la Via Lattea”.

Al mattino la notte non è proprio trascorsa benissimo e tra mal di testa, poco dormire ed inappetenza il gruppo è un po’ acciaccato.  Tè in tenda alle 6.30, colazione 7.30, partenza alle 9: questo sarà il ritmo costante delle mattine.  La prima erta del trek sta di fronte a noi.

KIBBER  4205 m.   7 Agosto

Il paese è grande e disposto a semicerchio. Le casette tibetane sono curate: tutte bianche con le finestre nere ed i fiori sul davanzale. Noi siamo arrivati attraverso un percorso molto bello che ci ha portato ad attraversare una verde valle piena di mulini ad acqua, scendere in un orrido canalone percorso da un fiume spumeggiante chiuso tra alte pareti e risalire faticosamente un ripido costone. Ora il nostro campeggio è a lato della guest house dove con 20 rupie possiamo avere mezzo secchio d’acqua calda per fare la doccia.  Tutti siamo consci che ci siamo sempre lavati in abbondanza in fiumi e ruscelli, ma come resistere al miraggio di una doccia calda?  Ed è così che solo all’atto della fatidica doccia ci accorgiamo che l’acqua è scaldata con un pezzo di uno dei magnifici cedri himalayani di Manali…. Quando il sole è più basso sull’orizzonte facciamo una passeggiata ai due gompa che sovrastano il paese ed è qui che un monaco ci mostra il calendario del Kalachakra, la ricorrenza religiosa che domani inizia al monastero di Ki, presenziata da Sua Santità il Dalai Lama, che ne decide di volta in volta sia il luogo che la data.  L’ultima volta, nel 1996, si è svolta a Tabo dove il “Tantra della Ruota del Tempo”, rivelato direttamente da Buddha, ancora una volta è stato trasmesso ai fedeli da Tenzin Gyatzo, incarnazione del Buddha della Compassione.

KI GOMPA  4160 m.   8-9-10  Agosto

Un’ultima svolta della strada ed ecco il mitico Gompa  di Ki, arrampicato su di uno spuntone roccioso che si erge sulla pianura sottostante.  Costruzioni rosse e bianche sembrano stare in bilico sulla roccia che sovrasta una grande pianura pietrosa ora coperta da centinaia di campeggi. Ci sono le tende bianche del grande campeggio governativo nel quale si può trovare un piccolo mercato, il collegamento intercontinentale, un ospedale da campo e quelle colorate dei vari gruppi di pellegrini che sono li per seguire il gran avvenimento. Più in alto, tra il monastero e le tende, fanno bella mostra di sé i depositi di acqua che il governo ha approntato assieme a diverse toilets sparse un po’ dappertutto tra le tende. La strada che porta al monastero è tutta imbandierata e numerosi sono i portali con gli 8 simboli tibetani: i pesci d’oro, il baldacchino reale, la buccina della vittoria, il monogramma della fortuna, lo stendardo vittorioso, il vaso di ambrosia, il loto dell’immortalità, la ruota della legge. Sono le 10 di mattina, la prima conferenza comincerà alle 13, ma attorno al monastero c’è un gran fermento ed una notevole quantità di gente sale per i sentieri che conducono alla rocca. Tutto attorno piccole bancarelle vendono le bianche sciarpe di seta  ed i fili di seta colorata che il Dalai Lama benedirà. Per entrare nel recinto adibito alla conferenza siamo sottoposti a severi controlli e nella grande piazza già centinaia di persone sono sedute in attesa. Una grande area è coperta da drappi gialli e bordeaux ed è riservata a monaci e monache che fitti fitti formano una moltitudine dal colore uniforme. C’è poi tutta una zona divisa in sezioni per le diverse nazionalità europee: la zona degli italiani, quella degli inglesi, quella dei francesi, dei russi… Tutto il resto è riservato alla popolazione locale che sempre più numerosa accorre.

Solo in quattro siamo rimasti ad aspettare l’ora della conferenza perché è duro rimanere per ore sotto il sole cocente, seduti a gambe incrociate nella polvere e pressati da ogni lato. Ed è ancora più duro rimanerci per le 4 ore successive, la durata complessiva della conferenza ogni giorno. Inizialmente crediamo che nella zona italiana sia stata organizzata una traduzione, poi ci rendiamo conto che l’unica possibilità di capire qualcosa è quella di avere una radiolina e sintonizzarsi su di una frequenza: sono state organizzate infatti delle unità di trasmissione in varie lingue. Solo ora mi ricordo di aver letto sul giornalino di Avventure questa raccomandazione a proposito del viaggio “Kalachakra iniziazione” : portare una radiolina!  Ma la radiolina non c’è ed allora ci dobbiamo affidare alla gentilezza di un signore milanese, anche lui seduto in terra accanto a noi, che ci presta un auricolare. Compreremo la radiolina il giorno dopo, ma si sa la qualità è cinese: la sintonizzazione non sarà delle migliori.

Il Dalai Lama arriva in perfetto orario alle 13, viene a piedi dal monastero ed è accompagnato da poche persone.  I presenti sono tutti in piedi a mani giunte in perfetto silenzio. Parla in tibetano, la radio dà una traduzione simultanea in inglese che può essere ascoltata solo se con il mio ombrello faccio da antenna riuscendo a captare il segnale.  Dopo ogni passo c’è un riassunto in indi e contemporaneamente su bande diverse le traduzioni in diverse lingue occidentali. Sua Santità da uomo semplice qual è parla in maniera informale e simpatica, sorride spesso, molte volte fa battute che fanno ridere tutta la platea. I monaci letteralmente pendono dalle sue labbra con gli occhi sgranati, attentissimi, molti europei prendono appunti.  I più indisciplinati sono i locali che sono venuti con i bambini che non stanno fermi un minuto, come tutti i bambini del mondo. La nostra attenzione è intermittente, ad un certo punto abbiamo perso l’inglese allora ascoltiamo l’italiano, ma anche questo è molto debole e poi la banda si sposta ed a tratti riceve e non riceve.

“…E Buddha spiegò il ’Cammino di mezzo’ ,  nel quale si devono mantenere coloro che cercano la verità, nel suo primo sermone detto anche ‘il giro della ruota del Dhamma’  Il cammino dovrà passare attraverso le 4 nobili verità e l’ottuplice sentiero.

Le 4 nobili verità sono:

  • la vita è una catena di sofferenze
  • la sofferenza ha una causa : il desiderio smodato cioè la bramosia
  • se la bramosia cessa, cessano le sofferenze
  • c’è un cammino per far cessare le sofferenze.

 Questo cammino è l’ottuplice sentiero diviso in tre parti:

  • vivere moralmente : SILA
  • controllare la mente : SAMADHI
  • purificare la mente con la saggezza delle 4 verità : PANNA

 PANNA è giusta vista, giusta opinione  Vedere le cose come realmente sono e non come sembrano essere.  SILA è giusta parola, giusta azione, giusti mezzi di sostentamento. SAMADHI è giusto sforzo, giusta consapevolezza, giusta concentrazione.

Con ignoranza e desiderio come compagni noi siamo stati travolti dalla corrente delle ripetute nascite e continuiamo a morire e rinascere senza fine in infinite esistenze con un processo chiamato SAMSARA.  Comprendere esattamente i pericoli di questo processo e capire che il desiderio è la sua causa è diventare liberi da accumulo di negatività passate (SANKHARA)  e non crearne nel futuro. Questo ci condurrà ad una vita liberata in cui il desiderio è sradicato, la mente è serena, il processo di sofferenza è allontanato come pure è allontanato il continuo divenire.

La catena del divenire è formata da dodici legami causa-effetto che spiegano il processo che è responsabile della nostra infelicità. Questo processo può essere spezzato con la tecnica della meditazione, questo solo fu l’insegnamento pratico di Buddha…”

Per tutti i tre giorni introduttivi in quattro, Maria Cristina, Enzo, Lanfranco ed io, abbiamo ascoltato le 4 ore quotidiane di spiegazione ed il sole cocente, la sete, la posizione scomoda sono passate in secondo piano.  Ogni giorno a metà conferenza il maestro faceva una pausa nella quale ci si poteva un po’ sgranchire le gambe, si mangiava o beveva qualcosa.  Anche i monaci in questa occasione ricevevano dagli addetti del monastero tè col burro, riso e copie dei Mantra da leggere durante le ore di meditazione e preghiera. Il nostro pomeriggio era dedicato al turismo: si andava a visitare il monastero, si faceva una passeggiata tra le abitazioni dei monaci od una visita al mercatino tibetano, si tentava di bere una birra a Ki villaggio, ma si finiva col trovare solo una Coca.. Gli altri del gruppo improvvisavano giri nelle vicinanze andando al paese di Gete, sopra al monastero, ed a Chichon, dall’altra parte della valle. Alla sera ci si ritrovava tutti quanti nella tenda mensa a raccontare le reciproche esperienze: chi aveva camminato su lisci lastroni a strapiombo sull’abisso, chi aveva bevuto il tè offerto da un monaco e preparato su di uno spuntone di roccia. Per noi 4 c’era sempre l’incontro con un Dalai Lama sorridente e sereno che ogni giorno, prima di andarsene, ci impartiva la benedizione.

 “…..Solo con la tecnica della meditazione il processo responsabile della nostra infelicità può essere fermato.  Questo processo è dato da 12 interconnessioni tra causa ed effetto dove l’uno nasce dall’altro in maniera ciclica.  Questa è la ruota del Divenire ed il Motore delle continue rinascite :

  •  A causa dell’ignoranza, sorge la reazione
  • A causa della reazione, nasce la coscienza
  • A causa della coscienza, nascono mente e corpo
  • A causa della mente e del corpo, nascono le porte dei sensi e della Mente
  • A causa delle porte dei sensi e della Mente, nascono i contatti
  • A causa dei contatti, nasce il desiderio
  • A causa del desiderio, nasce l’attaccamento
  • A causa dell’attaccamento, nasce il divenire
  • A causa del divenire, sorge la nascita
  • A causa della nascita, sorge decadimento e morte

 Per spezzare questa catena senza fine di ripetute esistenze il Buddha scoprì, basandosi sulla sua personale esperienza, che le sofferenze nascono dall’abitudine al ‘Desiderare’.  Avendo imparato ad esaminare le profondità della sua mente, capì che tra gli oggetti esterni e le reazioni mentali di desiderio c’è un collegamento attraverso le sensazioni del nostro corpo.  Ogni volta che si viene in contatto con un oggetto che colpisce i nostri sensi o la Mente, nasce una sensazione nel corpo ed in base alla sensazione, piacevole o spiacevole, nasce il desiderio od il rifiuto.  Infatti noi vorremmo prolungare una situazione piacevole ed allontanarne una spiacevole.

La sua scoperta fu questa : ad ogni contatto si manifesta la sensazione, ad ogni sensazione nasce bramosia o rifiuto in tutte le sfumature intermedie. La causa della nascita di bramosia o rifiuto, quindi della nostra sofferenza, non è qualcosa fuori di noi, ma piuttosto qualcosa che sorge dentro di noi. Per liberarci dal desiderio e quindi dalla conseguente sofferenza dobbiamo occuparci della nostra realtà interiore attraverso la osservazione delle sensazioni presenti in noi. 

Osservando noi stessi internamente arriviamo a capire che ogni sensazione causa di sofferenza è impermanente.  Se capiamo questo noi deliberatamente ci asteniamo dallo sviluppare attaccamento o ripulsa, ma adottiamo una posizione di osservatore imparziale e apprezziamo ogni sensazione come la manifestazione di una realtà che cambia in continuazione. Se comprendiamo questo rimarremo equanimi e tranquilli lontani da attaccamento o rifiuto e cioè dalla sofferenza. Più noi osserviamo le sensazioni dentro di noi senza passioni, più gli strati dei negativi condizionamenti passati sono sradicati fino ad arrivare ad avere una Mente libera dall’abitudine a reagire con desiderio.  Il risultato è che il processo ’a causa delle sensazioni, nasce il desiderio’  si trasforma in  ‘a causa delle sensazioni, nasce la saggezza’  ed il cerchio vizioso delle miserie umane è spezzato.

Questo è il percorso da seguire per conseguire la ‘Via di mezzo’ , questo è il percorso mostrato dal Buddha della infinita Compassione….”

 LALU LA  4770 m.   12  Agosto

Procediamo in ordine sparso, ognuno con lo sguardo in terra cercando. E’ questa una zona dove si trovano molti fossili e ciascuno di noi ne ha in mano un bel mucchietto. La massa continentale indiana nel suo movimento verso Nord ha spinto questi strati, che nelle ere passate erano un mare, sempre più in alto ed oggi ce li troviamo a  4600/4800 m. di quota. I miei compagni non sembrano affaticati anzi oramai tutti stanno bene e così procediamo spediti ed oltre ai sassi possiamo raccogliere anche le grandi stelle alpine che punteggiano il prato. Numerose mandrie di zhod pascolano nelle vallette e quasi senza accorgercene arriviamo al chorten adorno di bandierine dove i nostri altimetri ci dicono che siamo ai  4770 m. del passo Lalu. Dall’altra parte la discesa è dolce verso il piccolo paese contornato da pochi campi verdi. Improvvisamente il cielo si oscura ed un temporale si abbatte su di noi.  A precipizio ci catapultiamo giù dal pendio, escono mantelle ed ombrelli, ma l’acqua che sembra così violenta quasi non arriva a toccare terra: dieci minuti di tempesta ed è tutto finito.  Muri mani, pietre votive incise con figure e mantra ci accolgono all’ingresso del paese poco prima delle case.

TABO  3500 m.   15  Agosto

La valle dello Spiti è larga, chiusa tra alte pareti ed il fiume si divide in mille rivoli che solcano un immenso ghiaione. Tabo è un piccolo paese sulla strada che corre nel fondovalle, raccolto attorno ad un antico monastero datato 1000 d.C.  e famoso per i tesori che racchiude. Chissà perché mi aspettavo qualcosa di imponente , forse a più piani, con tetti d’oro o con ingressi pretenziosi.  Sono delusa perché trovo invece una serie di basse costruzioni di color ocra uniforme con piccole porte e senza finestre.  Ma poi entriamo.  La prima sensazione arrivati dalla luce abbagliante esterna è che dentro sia tutto buio, poi i nostri occhi cominciano ad abituarsi e possiamo distinguere le pitture.  I soggetti sono quelli classici del buddismo tibetano: Sakyamuni, le due Tare, i Bodhisatva, Padma Sambhava. I colori, rimasti al riparo dal sole ed ottenuti da polveri minerali, sono veramente sfavillanti e il tratto è magnifico.  Bellissimi sono i visi, delicate le mani e le pieghe delle vesti.  Con una pila, che Enzo si è ricordato di portare, possiamo apprezzare questi capolavori nei minimi particolari anche negli angoli più bui delle sale.  La visita prosegue in altre cappelle dove assieme ai dipinti sono conservate statue ben lavorate, soffitti magistralmente disegnati sorretti da alte colonne di legno completamente dipinte, colonne portate a spalla da Manali perché ricavate dai tronchi degli altissimi cedri himalayani di cui conservano ancora il profumo di resina. E poi la sala dei mandala dove le pareti sono adornate da magnifiche grandissime figure a base di quadrati e cerchi che rappresentano l’immagine dell’armonia che regna in una mente illuminata ed aiutano nella meditazione.  Dove le fiamme che circondano la rappresentazione simboleggiano il Samsara, le infinite rinascite da cui l’individuo si allontana entrando nel centro, asse del Mondo o Monte Meru (Kailash), dove si realizza la fusione con l’Universo.

E mentre ammiriamo rapiti questi affreschi una nenia dolce e lenta esce da una stanzetta laterale diffondendosi nelle antiche sale.  Un monaco canta e prega, recitando gli antichi Mantra e la sua voce vaga cristallina nell’aria : “OM  MANI  PADME  HUM , salve o Gioiello nel Fiore di Loto”.

Pubblicato in parte sulla Rivista dell’anno 2001 n.1 nella sezione “taccuini”

Giuliana Bencovich