1998 Canopy

Canopy tour: ovvero volare sulla cima degli alberi

Il Lodge Buenavista è una fattoria ai bordi del parco Rincon de la Vieja nel Nord del Costarica.  I proprietari, quasi abbandonato l’allevamento di bestiame, hanno trasformato i loro possedimenti in un’oasi protetta dove si possono sfruttare le bellezze della natura circostante. Ora non tagliano più il bosco per farne pascolo, ma riforestano e combattono il bracconaggio. La “finca” è ai limiti del parco vulcanico, ha cavalli per fare passeggiate nel verde, sorgenti calde con sauna in caverna, fanghi in piscine naturali, cascate e laghetti a tutte le temperature. La decisione di venire è stata sofferta: il soggiorno è un po’ caro, c’è una brutta strada per arrivare e poi, come sarà?  Le notizie non sono in realtà molte, ma la signorina con cui parlo è gentile, mi descrive le mille cose che si possono provare con voce entusiasta e poi, mi dice, c’è il Canopy Tour…

La sera arriviamo abbastanza tardi, alle 18, in un tripudio di tramonto dorato che rende ancora più fantastici i grossi alberi che ci circondano. E’ quasi buio nella estancia e si distinguono solo i grossi cespugli di croton ed il perfetto prato all’inglese. Le casette sono in legno molto semplici, ma con bagno privato e doccia solare. Il pasto serale è frugale, fatto con prodotti dell’orto; cucina locale semplice e gustosa e la mattina siamo tutti svegli molto presto destati dallo starnazzare delle oche, dai bramiti dei cervi e dal casino dei tucani.  Tutti i tours partono alle 8.

Ci dividiamo: 4 sono per la gita a cavallo alle tre cascate ed alla attività vulcanica, Livia ed io siamo invece pronte a volare sulla cima degli alberi. Prima passiamo dal deposito dove veniamo perfettamente imbragate in perfetta sicurezza e dotate di guantoni di cuoio e carrucola, poi facciamo una breve passeggiata nella foresta. Enormi ficus avvolti da liane strangolatrici sono intervallati a tamarindi, caffè selvatico, gigantesche seibe, felci e canne fiorifere. E’ piuttosto buio poiché qui non arrivano mai i raggi del sole, c’è un certo odore di terra che marcisce e le zanzare sembrano molto interessate alla nostra presenza. Con una breve salita arriviamo alla prima piattaforma, costruita su di un basso albero in cima alla collina: semplici tiranti in acciaio, qualche tavola e ci affacciamo sulla valle sottostante dove svettano spettacolari giganti verdi sorgenti da una vegetazione più bassa. Un esile filo di acciaio parte dal nostro palco e si perde nel verde.

Abbiamo due accompagnatori Juan e Rodrigo carichi di ferraglia come i più provetti scalatori.: moschettoni, jumar e discensori pendono dai loro imbraghi, mentre ostentano con noncuranza tatuaggi, orecchini, braccialetti e collane. Guardano un po’ perplessi questa signora che sembra riconoscere i loro attrezzi e l’amica che l’accompagna. Vedo chiaramente nei loro occhi il dubbio che li assale: dovremo trasportare in braccio queste due rebecucche, si metteranno ad urlare, si stamperanno alla Willy il coyote sulle piattaforme più in basso ?  Pochi sono gli insegnamenti che ci danno. Per scendere faccia in avanti, gambe piegate, tenere una mano sulla imbragatura ed una indietro sul cavo per frenare. Lasciarsi andare all’inizio poi frenare secondo il gusto stringendo il cavo verso in basso con la mano protetta dal guanto. Vediamo la dimostrazione di Juan: guardando loro sembra facile, siamo pronte…

I miei piedi sfiorano appena le tavole del pavimento, sono appesa alla carrucala ed un moschettone mi assicura ulteriormente al cavo d’acciaio. Una mano dietro appoggiata al cavo e via … volo tra gli alberi come un razzo e mentre la catenaria si abbassa la velocità aumenta … ecco mi fanno cenno di frenare … dolcemente riduco la velocità e mi poso sulla piattaforma. Anche Livia fa il suo primo volo un po’ a denti stretti, ma anche lei non ha problemi.

Siamo ora sul palco di una enorme Seiba, saranno almeno 30 m. di altezza, e la nostra terrazza fatta di tavole e sostenuta dagli esili cavi in acciaio ondeggia con il vento. Ci sporgiamo e penzoliamo con la testa fuori, intanto c’è la sicura con il moschettone, che bello … sembra di essere Tarzan. Il dritto e liscio tronco si inabissa sotto di noi e sparisce tra il folto verde degli alberi più bassi mentre i nostri occhi spaziano tra i giganti che svettano a 50 metri di altezza. Farfalle colorate ed incredibilmente grandi volano intorno, un dolce profumo ci inebria: non più l’odore di terra e marciume, ma aromi ora dolciastri, ora amari, ora quasi di cannella. Niente insetti: qui è troppo alto per loro.

Il prossimo balzo è in discesa e sembra più impegnativo. Juan parte come un razzo e ci fa vedere dove frenare per arrivare con la giusta velocità. Tocca a Livia essere la prima e la vedo schizzare via come una freccia con il marsupio con i soldi ed il passaporto che pericolosamente pende e sballonzola sfiorando la cima degli alberi sottostanti. Sulla lontana piattaforma dove è atterrata svolazzano due oropendole  un po’ infastidite dai nuovi uccelloni tanto rumorosi che sono arrivati.  Mi attacco e via … zzz… zzz … sfreccio tra le cime come un razzo, il profumo mi riempie i polmoni, il volo mi regala la sensazione di essere senza peso … che bello, che bello… mi fanno cenno di frenare e leggera come una piuma mi poso sulla piattaforma dove Livia tutta arrabbiata mi comunica che le due oropendole se ne sono andate prima che potesse tirare fuori la macchina fotografica.

Siamo ora su di un Tamarindo e l’altezza da terra è ancora molta. Le delicate foglie della chioma ci coprono ben poco e lo sguardo può spaziare a 360 gradi: a questa altezza molti sono i frutti e moltissimi i fiori. Grappoli di epifite sono arrampicate sui grossi rami sommitali intorno a noi dove possono godere di tutta la luce ed il sole di cui hanno bisogno, micro orchidee dai colori pallidi sono in fiore, un Ficus strangolatore è avvinghiato ad un maestoso Noce in una lotta che durerà secoli.  Qualcosa di grosso si muove tra le foglie, imbraccio i binocoli e lo vedo chiaramente: è un grosso pavone di montagna con la gola rossa, il petto a puntini ed una lunga coda. Sta beccando con impeto i fiori di una orchidea e non ci degna di uno sguardo. Poco dopo anche un colibrì si avvicina allo stesso mazzo ed insieme si nutrono di quella leccornia. I nostri due accompagnatori sembrano ora più rilassati e ci spiegano le tecniche di costruzione ed i calcoli matematici che bisogna fare per impostare bene la posizione e la tensione del cavo. Sono un ingegnere di S. Josè ed un geometra del luogo che hanno costruito ed ora mantengono in efficienza tutta la struttura.

E continuiamo a volare … zzz … zzz … ed a posarci di ramo in ramo senza peso frenando solo all’ultimo istante per non spiaccicarci contro il tronco dell’albero.  Zzz … zzz … e gli occhi sono pieni di fronde, uccelli, liane, fori, cielo, farfalle ed il naso assapora mille e mille profumi sempre diversi e negli orecchi abbiamo canti di cicale, trilli di uccelli, fruscii di vento. Urli di scimmie … zzz … zzz . Siamo arrivati ci dicono, questa è la settima ed ultima piattaforma.

Guardiamo giù: ci saranno da terra ancora una ventina di metri e il ficus sul quale siamo ha un sacco di radici aeree che come liane scendono verso il basso. Ma noi scegliamo una più sicura e tecnologica liana UIAA da 12 mm. e, con un discensore ad otto, scendiamo in corda doppia lungo il magnifico tronco.  Il nostro volo tra le chiome degli alberi è purtroppo finito, ritorniamo a terra nel buio, tra le zanzare e l’odore di putrefazione e non possiamo che guardare con nostalgia in alto verso i 30 metri dove abbiamo volato percorrendo un viaggio nel tempo e nello spazio immersi nella Natura.    PURA VIDA!

Pubblicato sul Giornalino dell’anno 1999 n. 2-3  nella sezione “taccuini”

Giuliana Bencovich