Sabato e Domenica 8/9 Maggio

UN WEEK END TRA VELA E MONTI

E’ un miscuglio inusuale, ma con un certo fascino: la vela e le passeggiate in montagna, mescolate con significativi spunti culturali.

Nell’alto lago di Como (Colico) c’è la possibilità di un week end che possiamo definire velico/camminereccio/culturale. Possiamo organizzare il pernottamento presso un’ostello che gi garantirà pernottamento e cena in riva al lago. C’è un circolo velico a Gera Lario che permetterà a chi vuole di fare una giornata in vela in un luogo che sembra fatto apposta. Vicino c’è l’Abbazia di Piona che è una delizia per gli occhi e lo spirito. Per non parlare poi dei sentieri montani locali, al di fuori del solito giro dei milanesi. Un week end da non dimenticare.

Per i più appassionati di vela prevediamo di noleggiare una barca per l’intera giornata, mentre per i neofiti che hanno qualche perplessità di stare in barca per una giornata, prevediamo una iniziazione più adeguata

C’ la festa dell’Officina del Vento che celebra i suoi 10 anni di attività, Chi vorrà potrà inserirsi nel suo piano di attività, con anche visite guidate, gare di modellini ed attività varie.

Possibilità di vela

Uscita per neofiti con minicorso alla domenica  5€ a testa

Noleggio di una barca per l’intera giornata con uno di noi a fare da skipper – circa 90€ da dividere circa in 9 persone in due turni di mezza giornata (da un minimo di 10€ a testa, ad un massimo di 18€ a testa per chi vuole fare l’intera giornata)

Possibilità di iscrizione al club per 28€ a testa con diritto ad una uscita in barca

Possibilità di passeggiate, si sceglieranno quelle che si preferiscono

Da Concilio di Rumo a Sorico (lungo costa)

Alla chiesa di San Miro, con il giro delle 3 chiese

La valle del Liro

I Piani di Spagna (Forte Fuentes)

L’Abbazia di Piona (cercheremo di andarci in barca)

Camminata in Val Codera

E’ importante prenotarsi, specificando, per quanto riguarda la vela, se fare solo l’uscita di domenica, o mezza giornata o la giornata. Se siete esperti, ditecelo.

 

Riferimento  Tina: tina.a@iol.it

Tel 349-3532282

Oppure a Guido Platania

Tel 335/208784  -  gp@helponline .it

 

Programma di massima

Mezzi, pensiamo di andare in macchina con suddividione delle spese, ma ci sono ottimi treni che fanno Milano-Colico e poi possiamo venire a prendere alla stazione quelli che vengono in treno

Sabato

8.30 Partenza da Milano

10.30 – a Gera Lario, i velisti montano in barca per la giornata, gli altri girano per le cose più interessanti da vedere. Giri da definire

18.30 All’ostello ci si prepara per la cena

Domenica

9.30 I neofiti si trovano per il mini corso e l’uscita in barca, gli altri in giro

12.30 – Da definire

18.30 Incomincia il triste ritorno

 

Spesa prevista

Macchina per andata e ritorno ed eventuali spostamenti interni, da dividersi tra i passeggeri

Mezza pensione all’ostello, compreso vino ed acqua (una base) a cena 20 euro

Uscita in vela di domenica circa 5 euro

Noleggio barca di sabato 1 giornata, circa 90 euro da suddividersi (mezza giornata circa 10 euro a testa, l’intera giornata 18 euro a testa)

 

 

 

 

 

Gera Lario

Piccolo centro all’estremità della sponda occidentale dell’Alto Lario, si trova allo sbocco del torrente Gera e ai piedi del Montemezzo.
Oggi è una delle mete turistiche preferite dagli appassionati di sport lacuali. A supporto di queste attività esistono moderne strutture private e pubbliche tra le quali il nuovo lido e il nuovo porto.

 

Si ipotizza che il nome “Gera” derivi dalla parola greca “leréus”, sacerdote, ad indicare la presenza di un luogo di culto.
Questo paese fu fondato nelle vicinanze di Olonio e utilizzato dalle truppe spagnole come base durante gli scontri con i Grigioni di Valtellina. Il paese, nel 1482, ottenne dalla Pieve di Sorico l’autonomia ecclesiastica. Seguì le vicende del feudo delle Tre Pieve, successivamente contea di Tolomeo Gallio (1580) fino a che, nel 1620, durante il dominio spagnolo, raggiunse anche l’autonomia amministrativa.
Sulle case, affacciate all’unica piazza allungata lungo la Strada Regina ed ombreggiata da secolari platani, rimangono numerosi affreschi sacri dei secoli XVI e XVII a testimonianza dei periodi prosperi che gli abitanti del posto hanno avuto modo di vivere.
In questo comune vi nacquero due personaggi famosi, Giorgio Giulini, scrittore del 700 di storia milanese, e il pittore Luigi Fontana.

Da visitare:

Chiesa di San Vincenzo

La chiesa romanica di San Vincenzo fu eretta a cavallo dei secoli XI e XII a fianco dell’omonimo torrente, proprio dove un tempo sorgeva una villa romana e ricostruita nel Quattrocento.
Sullo stipite sinistro del portale vi è murata una lapide romana, del III o del IV secolo, sulla quale i genitori ricordano il bimbo “dolcissimo e desideratissimo”.
Durante i lavori di restauro effettuati nel 1964/65, sono stati scoperti, sotto l’abside, un mosaico pavimentale risalente al II secolo e le fondamenta della prima chiesa.
La facciata a capanna è coronata di archetti in cotto ed è preceduta da un pronao, è aperta da due monofore, da due finestre e da un occhio anch’esse corniciate in cotto.
L’interno della chiesa, di gusto rinascimentale, comprende, oltre agli stupendi affreschi della volta raffigurante gli Evangelisti, un Polittico dell’altare maggiore datato 1547 raffigurante le scene della Crocifissione e della Madonna col Bambino ed altro con intagli, statue e dorature, di poco posteriori

Santuario Nostra Signora di Fatima

Edificata nel 1634 in centro del paese per rendere più comoda la partecipazione della popolazione alle funzioni religiose. 
Fu decorata con il contributo dei pescatori che versavano il guadagno della pesca effettuata nei giorni festivi. 
L'edificio venne invaso dal fango e gravemente danneggiato dalla tragica alluvione dell'8 agosto 1951 che provocò la morte di 17 geresi. Ristrutturata dopo dieci anni di lavoro, fu consacrata nel 1963 dal Vescovo di Como Felice Bonomini come "Santuario dei pescatori". Successivamente il Santuario venne visitato dal Vescovo di Fatima, Venancio Pereira, che consacrò i due altari laterali dando inizio ad un gemellaggio spirituale tra Gera e Fatima. Nel Santuario, ora meta di pellegrinaggi e d'incontri, è conservata un'effigie della Vergine proveniente da Fatima e benedetta a Roma in San Pietro nel 1959 da Papa Giovanni XXIII. 

Qualche numero:

Superficie: 6,670 kmq.
Altitudine: m. 201
Popolazione: 913
Densità abitativa: 136,882
Cap: 22010

L’ABBAZIA DI PIONA

Fiore all'occhiello del paese di Colico è l'abbazia di Piona, che però si trova in frazione Olgiasca, sul promontorio roccioso che degrada verso il laghetto semichiuso formato da una strozzatura naturale. 
Venne fondata dai Cluniacensi attorno alla chiesa di San Nicolao, costruita sui resti di un oratorio edificato dal vescovo di Como Agrippino nel VII secolo. 
Fu trasformata in commenda secolare, soppressa nel Settecento e restaurata all'¡nizio del nostro secolo, ed è attualmente di proprietà dei cistercensi dell'abbazia laziale di Casamari. 
La chiesa, dell'Xl secolo, è a pianta irregolare, ad una sola navata con soffitto ligneo, e conserva due leoni in marmo dell'antico protiro e frammenti di affreschi del Duecento legati alla tradizione bizantina. 
E’ affiancata da un campanile ricostruito nel Settecento e da un bellissimo chiostro del 1257, in cui si sovrappongono motivi architettonici romanici e gotici ed influenze d'oltralpe. Gli affreschi delle pareti richiamano il linguaggio figurativo bizantineggiante dei dipinti all'interno dell'abbazia. 
Caratteristico è il raro soggetto dell'affresco di un calendario figurato, di stile primo gotico, con immagini di santi ed episodi di vita contadina legati ai mesi dell'anno. Le quaranta colonnine e i quattro piloni portanti terminano con capitelli scolpiti ciascuno in modo diverso dall'altro.
 

 La storia.

«Gioiello del romanico lombardo», così Federico Farina sottotitola la sua guida storico-artistica (Edizioni dell'Abbazia) dedicata all'abbazia di Piona, e proprio di un gioiello si tratta nonostante le vicissitudini della sua storia.

Posta sulla radura della collina di Olgiasca, nella parte nord di «quella sponda del lago di Como che volge ad oriente», si protende verso le cittadine di Dongo e Gravedona, sull'altra riva del lago, quasi a volerle incontrare.

La prima documentazione storica della presenza di una comunità monastica in questa terra è costituita da un cippo fatto scolpire dal vescovo di Como Agrippino (607-617) nel decimo anno del suo mandato, nel quale si ricorda l'erezione e la dedicazione di un oratorio dedicato a santa Giustina martire. Conferma dell'esistenza di tale edificio ci viene dal Tatti il quale, nell'elencare i monasteri della diocesi, afferma, senza citare la fonte, che nell'824 il primo monastero che si incontrava sorgeva a Piona e portava il nome di santa Giustina. Di questo edificio resta una piccola abside posta in posizione rialzata poco discosta dal livello dell'attuale chiesa.

Alla fine del secolo XI, Piona fu inserita nel movimento della riforma cluniacense. Non esiste più l'atto ufficiale di adesione, ma dall'analisi dei documenti di altri priorati cluniacensi della zona, San Pietro di Vallate (1107), San Giovanni Battista di Vertemate (1084) e San Nicola di Figine (1107), si può asserire che anche la comunità monastica di Piona sia entrata nel movimento di riforma in quel periodo.

Pochi sono i documenti giunti fino a noi relativi a quel periodo di storia dell'abbazia, ma sufficienti a tracciare la parabola della vita che vi si svolgeva. Il più interessante è un documento della metà del XIII secolo in cui si menziona una tassa di 13 lire imperiali riscossa da Guglielmo da Lenora visitatore della casa madre di Cluny; in un altro documento del 1277 è attestata la presenza di otto monaci che osservavano regolarmente la regola monastica.

Tuttavia, il documento più importante è costituito dalla struttura stessa del monastero; infatti l'adesione alla riforma cluniacense non solo comportava l'invio di un folto numero di monaci dalla casa madre, ma anche una concezione nuova del monachesimo che si concretizzava in una disposizione delle strutture disposte in modo armonico e funzionale intorno al chiostro, che diventava punto di riferimento ideale della pianta e perno intorno a qui ruotava tutta la struttura.

Gli studiosi ipotizzano che i monaci di Piona siano intervenuti sull'oratorio di Santa Giustina in attesa della nuova chiesa che diverrà, secondo una prassi documentata, la prima delle quattro ali del monastero ad essere realizzata.

Dopo l'adesione al movimento della riforma cluniacense il monastero di Piona fu dedicato alla beata Vergine Maria e, sedici anni dopo, viene indicato come Ecclesia sancti Nicolai.

Il Giussani riferisce che nel 1906, mentre erano in corso i primi interventi di restauro della chiesa, venne alla luce un'iscrizione, oggi quasi totalmente illeggibile, con la data del 1138 come anno di consacrazione alla beata Vergine da parte del vescovo Ardizzone di Como, ma non si è in grado di stabilire se la dedica a san Nicola di Bari quale co-patrono, culto che tra l'altro è largamente attestato in zona in quanto protettore dei naviganti, avvenne in quella occasione o in un momento successivo. Certamente nel 1154 era già attestata la dedicazione, così come si ricava da un documento di vendita in cui si afferma «a mane sancti Nicolai de Piona».

Nel corso del XIV secolo cominciarono ad affiorare i primi sintomi di una decadenza alla quale la casa madre di Cluny tentò di porre rimedio con l'invio di sussidi in denaro per far fronte alla manutenzione dei fabbricati e al ripianamento dei debiti, e monaci per rinsanguare la comunità.

Nel XV secolo la situazione continuò a peggiorare. Da un documento del 1432, rinvenuto dal Giussano nell'archivio comunale di Como, risulta che, alla morte del priore Imblavado de' Caimi, ultimo monaco rimasto a Piona, il duca di Milano Filippo Visconti nominò, con atto del 20 febbraio 1432, un tale Stefano Castello quale amministratore economo dei beni del priorato.

Questa amministrazione provvisoria a Piona si protrasse per tre secoli provocando guasti che vengono più volte descritti nelle visite pastorali che si susseguirono dopo il concilio di Trento.

In queste visite l'antico priorato cluniacense viene descritto in uno stato di estrema povertà e di assoluto abbandono; significativi sono gli atti della seconda visita pastorale del vescovo di Como Feliciano Ninguarda, del 7 novembre 1593, dove si lamenta che "nel cimitero vi entrano bestie e le campane stanno per cascare".

A seguito della legge del 19 florile anno VI della Repubblica Cisalpina (8 maggio 1798 del nostro calendario) il Direttorio incamerava tutte le abbazie con decreto del 14 pratile (2 giugno).

Con atto notarile dell'11 aprile 1801 i fondi dell'ex priorato di Piona furono assegnati al cittadino grigionese Salis Tagstein. Dal Tagstein la proprietà passò alla famiglia Sacchi di Gravedona, poi ai Genazzini di Bellagio, quindi ai Pezoni e ai Casati di Gravedona, infine, nel 1904, alla signora Angela Rizzi in Secondi.

Il risveglio d'interesse per il patrimonio culturale che caratterizzò il 1800, attirò l'attenzione anche su Piona, che fu interessata da una serie di restauri che, pur tamponando i malesseri del tempo e dell'incuria, non riuscirono a restituire all'antico priorato la vitalità che lo aveva distinto nei suoi primi anni di vita. La sua vita sarebbe rinata da una terribile sciagura.

Il 12 novembre 1935 il commendatore Pietro Rocca, esponente di una famiglia imprenditoriale, acquisì la proprietà del monastero; il fratello di lui, Cesare, aveva ottenuto l'affidamento della costruzione di un tratto di strada in Etiopia, nella zona di Fil-Fil. In seguito il cantiere fu trasferito a Mai-Lalà, a poche centinaia di metri dalla prima linea dove allora era attestato il fronte italiano durante la campagna etiopica.

Nella notte tra il 12 e il 13 febbraio l'esercito etiopico compì una sortita nel cantiere uccidendo, tra gli altri, Cesare Rocca e la moglie Lidia Maffioli.

Dopo questa tragedia, il fratello Pietro e la madre Annetta Pogliani, per ricordare il sacrificio di Lidia e Cesare, decisero di affidare il monastero di Piona alla Congregazione di Casamari quale segno di purificazione e di perdono; gesto tangibile di superamento di ogni inimicizia.

Il 13 febbraio 1938, a due anni esatti dal massacro di Mai-Lalà, un gruppo di monaci provenienti da Calamari prese possesso dell'abbazia di Piona non solo riaprendola «al culto e offrendo ai turisti un'altra squisita testimonianza di un'arte lombarda, ma dando a Piona una vita feconda di bene».

TRA S.VINCENZO E SAN MIRO

 

Riprende, con questa bella gita, la nostra esplorazione dei piccoli paesi che s'affacciano sulle sponde del Lago di Como e che, senza un ordine preciso, ci porterà a visitarli quasi tutti.

La nostra nuova meta si trova al vertice settentrionale del bacino lariano, sulla sua sponda Ovest. Ci muoveremo fra i paesi di Gera Lario e di Sorico che sorgono nel punto in cui il fiume Mera, proveniente dalla Valchiavenna, entra largo e placido nel lago, fondendosi silenziosamente con le sue acque. Per quanto incessantemente disturbati dal traffico che scorre intenso sull'angusta Statale, abbiamo scoperto che, fatti pochi passi, si può abbandonare il caotico nastro d'asfalto per immergersi in una dimensione più a misura d'uomo.

Gera e Sorico sorgono su due depositi alluvionali uniti a formare un'unica striscia di terra che s'affaccia sullo sbocco del fiume Mera nel lago. Alle spalle degli abitati la montagna si alza subito ripida e culmina molto più in alto, oltre i 2000 metri, con la cima del Sasso Canale. Sulla sponda opposta del Mera si stendono le vaste pianure palustri del Piano di Spagna, Oasi Protetta della Regione Lombardia.

Oltre ai numerosi motivi d'interesse che offre, la passeggiata ha una sua peculiarità: può essere fatta anche sfruttando il traghetto. Si potrà, quindi, partire da uno dei tanti porti lariani e dirigersi verso l'attracco di Gera Lario, arricchendo l'esperienza con le splendide panoramiche che si godono dalla nave.

A Gera, antichissimo borgo già abitato in epoca romana, come testimonia una lapide del II secolo (oggi conservata al Museo Archeologico di Como), si può arrivare anche con l'auto. Basta percorrere la carrozzabile della sponda occidentale del Lario oppure la più veloce Superstrada 36, che da Lecco raggiunge Colico da dove si prosegue brevemente verso Chiavenna per poi volgere a sinistra e puntare verso Como.

Il percorso ha come suoi punti estremi le antiche chiese di San Vincenzo e di San Miro che sorgono sull'originario percorso della strada romana detta "Strada Regina". Otre alle attrattive storiche e artistiche, l'area della foce del Mera offre alcuni spunti d'interesse ambientale e paesaggistico. Unico neo che ci sentiamo di segnalare è la constatazione di come tali bellezze siano veramente poco valorizzate. In alcuni tratti, specie al margine della Statale, la strada versa in cattive condizioni di pulizia: spesso se ne incontrano tratti che mostrano la completa assenza di manutenzione. È un vero peccato perché basterebbe un po' più di cura e di attenzione per i particolari a rendere questa escursione veramente indimenticabile.

Percorso

Dal porticciolo di Gera Lario si segue il camminamento lungo lago che porta verso Sud-ovest (direzione Dongo) e, lambendo alcune ville, arriva in breve sulle sponde del torrente che scende dalla Val di Gera, poco a monte della sua foce. Si risale, a destra, un sentierino nel prato che ben presto prosegue con un moderno camminamento lastricato, inizialmente un po' sconnesso. Si giunge così, in pochi passi, alla Statale; sul ciglio della strada si piega a sinistra oltrepassando il torrente grazie ad un ponte, mentre sul lato opposto è già visibile la chiesa di San Vincenzo. Traversata la strada si giunge sul sagrato della chiesa fra le cui aiuole sorge una statua dedicata a Padre Pio. Un bel viale acciottolato, fiancheggiato da cipressi, porta davanti alla soglia dell'edificio, protetta da un portichetto sostenuto da due colonne di pietra, sopra il quale si trova un finestrone circolare. Anche ad un occhio profano, la semplice, bianca facciata indica che la chiesa è stata oggetto di diversi interventi succedutisi nel tempo. In effetti, scavi effettuati nel 1964-65 mostrarono l'esistenza di un edificio sacro romanico, sulle cui mura fu innalzata la nuova chiesa (le sue prime notizie certe risalgono al 1176).

Ma altre tracce del remoto passato di questa chiesa sono ben visibili, sia nei fregi e nella stele romana inseriti negli stipiti della porta, sia all'interno dove si può ammirare un mosaico pavimentale romano a cerchi neri custodito nella prima cappella di destra.

La stele marmorea inserita nello stipite di sinistra è dedicata alla memoria di un bambino morto, Lucio Duanzio Valentino ed è databile intorno al III-IV secolo d.C..

L'orientamento originario della chiesa romanica, la cui apertura era volta a Ovest, fu mutato in quello attuale con l'intervento per l'edificazione della chiesa di San Vincenzo. I citati scavi archeologici portarono alla luce anche l'abside della chiesa originaria che è visibile oltre la porticina a destra dell'ingresso attuale.

All'interno è custodita un'importante serie di affreschi che fanno di San Vincenzo uno dei più importanti monumenti dell'Alto Lario. I lavori di restauro, terminati nel 1980, hanno messo in luce diversi interventi decorativi succedutisi nel tempo fra cui, il più importante quello che interessò il presbiterio tra il 1546 e il 1547, su commissione dalla Società dei Naviganti di Gera. L'altare maggiore è adornato da un pregevole polittico raffigurante una Crocifissione e la Madonna in trono col Bambino. Le immagini dei Dottori della Chiesa intenti alla studio dei testi sacri e la sequenza di Santi che si sviluppa sui pilastri, sono un sicuro richiamo alla rigorosa osservanza della tradizione cattolica e sono da leggersi in chiave anti luterana.

Lasciata San Vincenzo e ritornati sulla carrozzabile pieghiamo a sinistra tornando sulla sponda opposta del torrente della Val di Gera per imboccare, ancora verso sinistra, la strada per Bugiallo e Montemezzo. Fatti pochi metri abbandoniamo l'asfalto per deviare a destra entrando in una stradina acciottolata. Il viottolo ci porta in breve fra le case di Gera Lario dove. qua e là, avremo modo di scoprire i segni dell'antico passato: stiamo, infatti, percorrendo un tratto dell'originaria via romana. In leggera discesa si arriva, infine, a lambire le severe mura di pietra della chiesa di Nostra Signora di Fatima il cui ingresso s'apre su un ampio piazzale. Verso monte il piazzale è delimitato dalle facciate del centro storico di Sorico, quasi tutte abbellite da affreschi. Fra le dimore si insinuano strette viuzze che invitano ad una breve digressione dal percorso per andare a visitare il cuore del paese. Il tessuto urbano è costituito da molti edifici risalenti al 1500, ai quali si aggiungono altre case sei-settecentesche. Particolarmente suggestivo il disegno viario che, pur nella sua regolarità, appare movimentato da passaggi coperti, loggiati e scalette.

Traversata nuovamente la statale, proprio di fronte alla chiesa di Nostra Signora di Fatima, s'imbocca un camminamento lastricato (che funge anche da pista ciclabile) per tornare sulle rive del lago. Si piega, ora, a sinistra e si continua lungo il camminamento con belle vedute panoramiche sui monti che si specchiano nelle tranquille acque lariane. Stormi di anatre e gruppi di cigni incrociano sulle tranquille acque, intenti a socializzare e a cacciare piccoli pesci.

Al termine della ciclabile si prosegue nei pressi della riva sfruttando una passerella di legno e poi un sentiero che lambisce il recinto di due campeggi per terminare in una grande area verde attrezzata. Verso Nord-est svetta la massiccia mole rocciosa del Sasso Manduino che s'erge a separare la Val Codera dalla Val dei Ratti e sembra quasi proteggere la bianca chiesetta di San Miro incastonata fra le selve poco sopra Sorico.

Dopo questo lungo tratto sulle rive del lago, piegando a sinistra e traversando l'area verde, ci si allontana dalle acque puntando all'evidente, massiccia torre campanaria della parrocchiale di Santo Stefano in Sorico. La torre è quanto rimane dell'originario impianto romanico della chiesa, mentre il resto dell'edificio ha subito diversi rimaneggiamenti nel corso dei secoli e, in particolare, nel quattrocento e nel settecento. Del primo intervento rimangono il bel portale marmoreo, alcuni tratti delle mura come l'arco a sesto acuto all'altezza della seconda cappella di destra, la vasca battesimale e l'affresco raffigurante una Crocifissione che orna la parete dell'abside, me è nascosto da un trittico cinquecentesco con una scena della Madonna che allatta il Bambino fra S. Stefano e S. Vincenzo.

Dal sagrato della chiesa seguiamo ora la Statale puntando verso la chiesa di San Miro il cui bianco edificio domina la visuale in direzione Est. Si percorre una strada di servizio separata dalla carrozzabile principale mediante un guard rail e, ben presto, si giunge al suo termine presso alcune casette ben ristrutturate. Ci si infila fra le case seguendo un viottolo acciottolato e, tramite un ponticello, si traversa il torrentel che scende da una vallecola soprastante. Al di là del ponte, ai piedi di un'antica torre di guardia restaurata e oggi facente parte di un'abitazione, inizia la salita verso San Miro. I cartelli indicatori non lasciano dubbi: una ripida mulattiera, a gradini, s'innalza fra la torre e il rio che abbiamo appena traversato. La sequenza dei gradini ci porta man mano in alto. Dopo aver lambito una cappella dedicata a San Miro, ed eretta nel 1598 a protezione di una fonte, eccoci nel sagrato della chiesa da dove si apre uno splendido panorama sul Lario.

Fino al 1452 la chiesa, di origini romaniche, era dedicata al culto di San Michele; ma, in quell'anno, nella cappella di S. Antonio, furono ritrovate le spoglie di Miro da Canzo qui deceduto verso il 1381 e alla cui figura erano legate diverse leggende. Si diceva, fra l'altro, che Miro fosse giunto fino a Sorico stendendo il suo mantello sulle acque del lago e camminandoci sopra. Il ritrovamento delle reliquie innescò un movimento di fedeli che portò al rinnovamento dell'edifico che fu dedicato a San Miro. Il culto del santo ebbe vasta diffusione in Brianza e, in particolare, a Milano che, nel 1491, organizzò addirittura un pellegrinaggio al santuario.

Risalgono al rinnovamento quattrocentesco due affreschi raffiguranti la Madonna col Bambino e quelli della Madonna del latte e della Madonna in trono, una Crocifissione e un San Sebastiano visibile sul primo pilastro di sinistra.

Nel 1526, il pittore Sigismondo De Magistris inaugurava un nuovo ciclo decorativo che interessò l'area compresa fra i due pilastri che separano la navata centrale da quella di destra. Qui fu probabilmente sepolto il corpo di San Miro, sotto un altare lui intitolato. Gli affreschi raffigurano i Santi ed i Profeti, Dio Padre, i SS Miro, Vincenzo, Michele e Stefano e gli Angeli musicanti. Oltre ai pregevoli cicli di affreschi, la chiesa conserva una tela del 1615, attribuita al Fiamminghino.

L'attuale impianto della chiesa è costituito da tre navate solo in parte coperte da volte in muratura.

Il ritorno è quanto mai semplice e immediato. In pochi minuti si ridiscende sul deposito alluvionale dove sorgono Sorico e Gera Lario. A questo punto non resta che scegliere uno dei tanti ristorantini tipici dove riposare gustando le specialità locali e, in particolare, i piatti a base di pesce del lago.

 

LA VALLE DEL LIRO

Lungo la strada che risale la Valle del Liro, la prima frazione che s'incontra è S. Carlo. Qui una stradina a destra conduce alla chiesa omonima (sec. XVII), oltre la quale si trova la frazione di Segna, raccolta attorno alla chiesetta di S. Lorenzo (sec. XVI). Superati i piccoli abitati rurali di Travisa e di Rancio, si arriva a Traversa, dove sorge la chiesa di S. Martino (sec. XVII). Poco distante da essa, situata su un poggio isolato, raggiungibile a piedi (h. 0.10), si trova la suggestiva <B< in Pietro S.>, che dell'originaria struttura romanica conserva l'abside, mentre l'impianto generale risale al sec. XV. L'interno presenta bellissimi affreschi cinquecenteschi ed un antico altare ligneo. La leggenda vuole che qui si nascondano i tesori dei gravedonesi, che in passato erano soliti rifugiarvisi in occasione di guerre e pestilenze.

Un'altra leggenda vuole anche che, sempre nelle sue vicinanze, cadendo in una delle forre del Liro, morisse Gian Mauro della Rovere detto il Fiammenghino, il famoso pittore che, agli inizi del Seicento, accusato di omicidio, scappò da Milano e si rifugiò in Alto Lario, ricevendo numerose commesse per affrescare le chiese della zona (in realtà morì e venne sepolto a Milano, nel 1640).

Subito dopo Traversa si trova il bivio per Dosso del Liro e Peglio. Il primo lo si raggiunge in breve tempo, dopo aver superato le antiche case in pietra di Scivano. Situato a mezza costa del Monte Piaghedo (m. 1454), Dosso del Liro presenta un aspetto rurale, con case adossate le une alle altre e strette e ripide stradine. Sulla piazzetta del paese sorge la chiesa barocca della SS. Annunziata (sec. XVII). Da Dosso del Liro si può proseguire in auto fino al Pian delle Castagne (km. 2) e da qui compiere escursioni al Rifugio Vincino (m. 1104, h. 1.15) e al Monte Cardinello (m. 2521, h. 5).


Peglio - affreschi nella chiesa di S.EusebioDi eguale aspetto contadino, con antiche case rurali, è anche Peglio. Poco prima di entrare in paese, su una collina a dominio della piana di Gravedona e del Lago, sorge la bellissima chiesa di S. Eusebio. Ricostruita agli inizi del sec. XVII, la chiesa è preceduta da un portico cinquecentesco, riccamente affrescato. L'interno della chiesa presenta opere del Fiammenghino (si noti il suo autoritratto nella cappella del battistero, dove l'artista si è raffigurato in abito bianco, con cappello e spada, accanto alla sua compagna e ai suoi figli).

Poco oltre Peglio, nei pressi dell'oratorio della Madonna (sec. XVII), una strada sterrata sulla destra conduce a Naro (km. 1,8), un tempo importante comune della valle, abbandonato in seguito alla continua emigrazione dei suoi abitanti e alle pestilenze. Qui sorge la piccola chiesa di S. Croce, dagli interni decorati con affreschi del sec. XVI.

Situato nel Pian di Gorghi, al margine della bellissima Val Darengo, anche Livo, al pari degli altri paesi, presenta una struttura tipicamente rurale, con stretti viali acciottolati e antiche case in pietra, alcune delle quali affrescate con soggetti religiosi (sec. XVI). Qui, come a Vercana, le donne erano solite vestire il costume tradizionale della moncecca, a ricordo dell'emigrazione a Palermo dei sec. XVI e XVIII. In centro paese sorge la chiesa parrocchiale di S. Giacomo (sec. XVII) e, poco fuori l'abitato, nei pressi del cimitero, la vecchia parrocchiale omonima, risalente al sec. XV, con uno stupendo ciclo di affreschi cinquecenteschi.

Da qui si può proseguire a piedi fino a Dangri (h 1) e oltrepassato il santuario della Madonna di Livo (sec. XVII), salire alla Capanna Como (m. 1790, h.4), il più antico rifugio costruito dal Cai di Como.

LA STRADA REGINA

L'attuale tracciato della strada Regina rispecchia solo in parte quello che anticamente collegava Como ai passi alpini dello Spluga, del Septimer e del Maloja-Julier. Già in epoca preromana, una via terrestre doveva esistere sulla sponda occidentale del lago. Probabilmente, doveva trattarsi di un tracciato mutevole, legato alle difficili condizioni del terreno (frane, alluvioni, ecc.).


Domaso - un tratto dellDi esso non è rimasta traccia, nè sarebbe possibile oggi identificarlo con precisione. Altrettanto dubbio è il percorso seguito dalla stessa strada in epoca romana. A differenza delle grandi strade dei valichi alpini, infatti, la via Regina non fu attrezzata dai Romani con ponti in pietra o altri manufatti. Doveva più che altro trattarsi di un tratturo angusto, a fondo naturale, con pendenze anche del 25-30% e ponti in legno a scavalcare i numerosi torrenti.

In queste condizioni si comprende come il modo più agevole e veloce per raggiungere l'Alto Lago (allora il punto di arrivo era Samolaco), dovesse essere la via d'acqua. I comballi o altre imbarcazioni dell'epoca rendevano infatti più sicuro il viaggio dalla pianura verso i passi alpini, consentendo inoltre il trasporto di un carico maggiore di merci. Bisogna quindi rivedere l'idea che la strada Regina fosse una via importante ("Regia", appunto) già in epoca romana. Durante questo periodo, essa fu tutt'al più una via di comunicazione sussidiaria rispetto a quella lacuale, servendo essenzialmente come strada di collegamento locale tra i vari insediamenti del lago.

La sua funzione di grande strada di comunicazione iniziò solo all'indomani della caduta dell'impero Romano e del relativo consolidamento del Regno dei Longobardi. In epoca altomedioevale la strada Regina andò arricchendosi di ponti, di torri daziarie e di chiese. Per questo motivo, il nome "Regina" è stato in seguito associato a quello della regina longobarda Teodolinda, cui molto si dovette per l'avvaloramento del territorio lariano.

Le prime notizie scritte riguardo all'esistenza della strada Regina risalgono al 1335, quando negli "Statuti Comensi" si indicarono gli obblighi di manutenzione che competevano, per determinati suoi tratti, ai vari paesi del lago (compresi anche quelli della sponda opposta, in quanto comunque beneficiarii).

La Regina viene anche ricordata da Paolo Giovio (1537), in riferimento soprattutto al difficile passaggio del Sasso Rancio (Menaggio), sopra l'odierno santuario della Madonna della Pace. La tradizione vuole che proprio in questo punto, alla fine del Settecento, uno squadrone di cosacchi fosse precipitato nel lago, per non esser voluto smontare da cavallo. Oggi, testimonianze dell'antica via Regina si ritrovano un po' ovunque nei paesi del lago. In alcuni punti, inoltre, come nel tratto fra Musso e Barbignano, sulla mulattiera che scende dalla chiesetta di S. Eufemia, si possono ancora vedere i solchi lasciati anticamente dai carri.

Da alcuni anni, infine, esiste anche un'associazione "Antica strada regina" (tel. 031-260022), che si occupa dello studio e della valorizzazione di questo tracciato. Visite guidate sono organizzate dalla cooperativa "Imago" (tel.0344-82572).

IL PIANO DI SPAGNA


Piano di SpagnaIl Piano di Spagna è una pianura alluvionale, formatasi per l'apporto di materiale detritico da parte del fiume Adda. Migliaia di anni fa il Lago di Como era quindi tutt'uno con il Lago di Mezzola. Il toponimo di <B< (?Summus>lo sta ancora oggi a testimoniare.

Abitato fin in epoca romana, come confermato dai ritrovamenti archeologici nella zona di Sant'Agata (dove un tempo sorgeva la romana Aneunia), il Piano di Spagna deve il suo nome al dominio spagnolo (sec. XVI-XVIII). Per la sua posizione strategica, questa pianura ospitò, a partire dal Medioevo, diverse fortificazioni, che vennero poi ampliate dagli spagnoli. Da qui infatti passava il confine tra i Grigioni, che controllavano la Valtellina e il Ducato di Milano, allora sono la corona di Spagna.

Per questo motivo, il conte di Fuentes, governatore di Milano, decise di costruirvi un forte. Situato sulla collina settentrionale di Montecchio, il Forte fu in collegamento con altre postazioni difensive, come la Torre di Sorico, il Forte d'Adda (oggi riattato a stalla e quindi detto lo "Stallone"), la Torre di Curcio e quella di Fontanedo.

Il Forte di Fuentes resistette ad attacchi di diversi eserciti e venne smantellato solo nel 1796, da Napoleone Bonaparte. Durante la prima guerra mondiale, il Forte funzionò come punto di osservazione per il vicino Forte Lusardi o Forte Montecchio, costruito nel 1914 e diventato in seguito presidio del Ridotto alpino repubblicano (per la visita, tel. 338-5926220). Oggi del Forte di Fuentes rimangono solo imponenti resti di mura, immerse in una fitta vegetazione (vi si accede dal Trivio di Fuentes).

Il Piano di Spagna è noto anche per essere una tra le più importanti riserve naturali della Regione. Qui, tra i canneti e le tife, nidificano numerose specie di uccelli acquatici (cigno reale, folaga, gallinella d'acqua, ecc.), di anfibi (tritone crestato, rana verde, rospo comune, ecc.) e di rettili (testuggine palustre, biscia dal collare, ramarro, ecc.). Per avere una visione d'insieme dell'oasi naturale si può salire ad Albonico, frazione di Gera Lario, che ospita fra l'altro una stazione d'osservazione ornitologica.

Da ricordare, infine, sulla sponda occidentale del Lago di Mezzola, lungo il tracciato dell'antica via Regina, il gioiello architettonico di S. Fedelino (accessibile a piedi - h.1,30 - da Samolaco e, via barca, da Novate Mezzola), oratorio protoromanico del sec. X, con affreschi coevi, sorto sul presunto luogo del martirio di S. Fedele (per visite guidate, cooperativa "Imago", tel. 0344-82572).

 

DA CONSIGLIO DI RUMO A SORICO


Gravedona - Palazzo GallioLasciato alle spalle Dongo, prima di entrare a Gravedona, la strada Regina attraversa il paese di Consiglio di Rumo, la cui antica oligine pre-romana è ricordata nel suo toponimo. Il "concilium", infatti, era un'istituzione politica politica celtica che indicava l'insieme dei territori federati attorno ad un unico centro (i Rumo furono invece una famiglia nobile dei sec. XIII-XV). Situato sulla piana deltizia del Liro, Consiglio di Rumo è oggi un paese dall'aspetto relativamente moderno.

Poco discosta dalla strada Regina, sorge la chiesa parrochiale di S. Gregorio, di stile quattrocentesco (ma di costruzione più recente), con un'abside presumibilmente del sec. XIV ed un campanile del sec.XV-XVI. All'interno sono stati portati alla luce lacerti di affreschi quattrocenteschi, che si affiancano a quelli ad opera di Carlo Pozzi di Valsolda (1659). Fra le numerose frazioni di consiglio di Rumo, merita un cenno Brenzio, dove, in posizione panoramica, sorge la chiesetta di S. Giovanni Battista (sec. XV), il cui interno vanta importanti affreschi della meta del Seicento, di Isidoro Bianchi da Campione (nel presbiterio) e del Fiammenghino (nelle due cappelle laterali).


Gravedona - veduta panoramicaDistesa ai piedi del Sasso Pelo (m. 910), in una tranquilla insenatura, Gravedona è uno tra i paesi del lago più ricchi di vestigia architettoniche. Di origine gallica (Gravedona deriva dal celtico "grava" = arca ghiaiosa), divenne centro di un vasto "pagus" (distretto) in epoca romana. Durante il Medioevo fu coinvolta nelle lotte comunali fra Como e Milano e successivamente, esercitò, assieme a Dongo e Sorico (le cosiddette "Tre Pievi"), un controllo duraturo sulla zona dell'Alto Lago. Delle 'Tre Pievi' s'impossessarono, nel sec. XVI, prima il Medeghino e poi il card. Tolomeo Gallio, che a Gravedona costruì il suo famoso palazzo (oggi sede della Cotmunità montana), su disegno di Pellegrino Tibaldi. Dell'antico castello medioevale e del borgo fortificato oggi non rimangono che scarse tracce murarie, nella Frazione Castello, alle spalle del Municipio.


Gravedona - S.Maria del TiglioQui sorgono anche le abitazioni più antiche di Gravedona, alcune delle quali risalenti ai sec. XIII-XV. L'edificio però più insigne del paese e di tutto l'Alto Lago è la chiesa romanica di S. Maria del Tiglio (sec. XII). Co-struita sul luogo ove sorgeva un precedente battistero paleocristiano (sec. V-VI), di cui conserva, all'esterno, degli altorilievi simbolici, murati sopra il suo portale e all'interno il fonte battesimale e tracce dell'antico pavimento a mosaico, la chiesa presenta un caratteristico campanile addossato alla facciata. Il suo interno, semplice ed armonioso, è impreziosito dalla presenza di affreschi dei sec XIV-XV.

Accanto a S. Maria del Tiglio si trova la chiesa parrocchiale di S. Vincenzo, edificio romanico (ristrutturato nel sec. XVII), anch'esso costruito su una preesistente basilica paleocristiana. Nella cripta romanica, che potrebbe forse identificarsi con la zolla presbiteriale della basilica paleocristiana, è visibile un'antichissima pavimentazione, che rimanderebbe forse all'esistenza di un tempio pagano.


Gravedona - chiesa dei SS.Gusmeo e MatteoTra gli altri edifici religiosi sono da ricordare, lungo la strada Regina, nei pressi del ponte sul Liro, l'oratorio di S. Abbondio (sec. XVII), con un caratteristico campaniletto a vela. A monte della stessa strada, immersa in un bel parco, è la chiesa romanica dei SS. Gusmeo e Matteo, che la tradizione vuole essere stati qui martirizzati. Rifatta nel sec. XVI, la chiesa conserva al suo interno pregevoli affreschi del Fiammenghino (1608).

Poco sopra, in posizione panoramica, sorge l'importante chiesa di S. Maria delle Grazie (sec. XV), con annesso convento agostiniano (in restauro). Di semplice facciata, ornata da un elegante portale in marmo, la chiesa presenta un suggestivo interno, riccamente affrescato (1496-1520). Sul lungolago, nei pressi del centro storico, sorge la piccola chiesa della Madonna della Soledad (sec. XVII), mentre sulle colline sovrastanti Gravedona, a Negrana, si trova la chiesa dei SS. Nabore e Felice (sec. XVI).

Affacciata sul lago, alla foce del torrente Livo, Dornaso è oggi un importante centro turistico, con numerosi campeggi, frequentati dagli appassionati degli sport a vela, che qui godono, nei mesi estivi, di venti costanti, come la breva e il tivano. In antagonismo secolare con Gravedona, Domaso vanta anch'essa un importante passato comunale. Lo dimostra l'ampio centro storico, arricchito qua e là, fra gli stretti vicoli, da antiche case, portali in pietra e affreschi votivi.

La chiesa parrocchiale di S. Bartolomeo è un rifacimento secentesco del primitivo edificio romanico. Al suo interno, oltre ad alcuni dipinti ed affreschi dei sec. XV e XVII, si trova anche la tomba di Luigi Panizza (1639), governatore del Forte di Fuentes. Poco distante, sorge l'ex convento degli Umiliati, con l'annessa chiesa quattrocentesca di S. Maria. Da ricordare, inoltre, lungo la via Regina, la settecentesca Villa Camilla, già dei Sebregondi (oggi sede municipale).

Subito fuori Domaso, s'incontra a sinistra la deviazione per Vercana, che si raggiunge dopo breve salita, a metà della quale sorge il bel santuario della Madonna della Neve (1634), costruzione votiva in ricordo della peste che seguì la calata dei Lanzichenecchi. Costituita dalle frazioni di Arbosto (sede comunale) e di Caino, anche Vercana, come molti paesi delle valli dell'Alto Lago, subì fra il sec. XVI e il XVIII, una massiccia emigrazione verso la Sicilia (a Palermo in particolare).

Riuniti in confraternite (denominate "scholae"), questi emigrati non dimenticavano però il loro paese natio, cui spesso inviavano a soldi per abbellire le locali chiese magari anche con affreschi o statue raffiguranti S. Rosalia (protettrice di Palermo). E' questo appunto il caso della parrocchiale di S. Salvatore (sec. XVII) ad Arbosto - riccamente decorata in stile barocco - e di quella di S. Sebastiano (sec. XVII), a Caino. Da sottolineare, inoltre, come le donne di Vercana, ancora fino agli inizi del secolo, fossero solite vestire la "muncecca", tipico costume femminile dell'Alto lago, ispirato al saio delle monache palermitane.


Ritornati sulla strada statale, si prosegue in direzione di Gera Lario. L'origine romana di questo insediamento è attestata dai resti di un pavimento del sec.II, visibili nella prima cappella a destra della chiesa parrocchiale di S. Vincenzo, nel cui portale è anche murata una stele funeraria del sec. II. Situata lungo la strada Regina, S. Vincenzo è una tra le chiese più importanti dell'Alto lago. Di origine romanica, oggi si presenta in forme quattrocentesche. Stupendi gli affreschi che la decorano internamente, risalenti alla metà del Cinquecento.


Gera Lari - affreschi devozionali sulle casePoco oltre la chiesa, sorge il centro storico di Gera Lario, che si sviluppa alle spalle dell'imponente chiesa di Nostra Signora di Fatima (sec. XVIII). Arricchito da alcune abitazioni gentilizie, sulle cui facciate vi sono affreschi devozionali rislaenti ai sec. XVI-XVIII, il centro è attraversato dall'antica strada Regina.

Prima di raggiungere Sorico, ultima tappa dell'itinerario, si può compiere una deviazione a monte di Gera Lario, per visitare i comuni di Trezzone e di Montemezzo. Il primo, costituito dalle frazioni di Folciano e di Aurogna (sede municipale), presenta, soprattutto in quest'ultima frazione, pregevolissimi esempi di architettura rurale, immersi in un'atmosfera altamente suggestiva. Fra le due frazioni, situata in posizione panoramica, sorge la chiesa di S. Maria delle Grazie, di forme quattrocentesche, con interni barocchi. A Trezzone la prima domenica di settembre si celebra S. Rosalia, a ricordo del flusso migratorio dei suoi abitanti a Palermo (sec. XVI-XVllI).

In altrettanto bella posizione panoramica, si trova il comune di Montemezzo, formato dai due nuclei principali di Burano (sede municipale) e di Montalto. A Burano, caratteristico borgo rurale, sorge la chiesa di S. Martino (sec. XV-XVI), riccamente affrescata all'interno da Aurelio Lumi. Agli inizi del Seicento, la chiesa si arricchì di due cappelle laterali, donate rispettivamente dagli emigrati a Palermo e ad Ancona. Imboccando la strada per le frazioni di Peledo e San Bartolomeo, è possibile effettuare una panoramica escursione al Monte Berlinghera (m. 1930, h. 2.15), rifugio, durante la Resistenza, dei partigiani della 52a Brigata Garibaldi (la stessa che catturò Mussolini).

Situata alla foce del fiume Mera, Sorico fu, anticamente, una delle "Tre Pievi" che ebbero il controllo dell'Alto lago. Questo titolo lo ereditò nel sec. XV dalla pieve di Olonio, la romana Aneunia, che sorgeva nel Piano di Spagna, nei pressi dell'odierna Sant'Agata e che fu abbandonata dai suoi abitanti, a causa delle continue alluvioni dell'Adda.


Sorico - chiesa parrocchialeIn occasione di questo trasferimento, venne ampliata la chiesa di S. Stefano, a Sorico. Oggi la stessa si presenta nel suo ultimo rifacimento settecentesco, conservando delle precedenti fasi costruttive solo il possente campanile romanico (già torrione difensivo) e parti dell'abside e del portale quattrocenteschi.

A monte dell'abitato di Sorico, raggiungibile a piedi attraverso una breve mulattiera su cui è ancora oggi visibile una delle molte torri medioevali che un tempo caratterizzavano il tracciato dell'antica strada Regina, si trova il santuario di S. Miro. La piccola chiesa, sotto il cui altare maggiore è conservato il corpo dell'omonimo eremita di Canzo, qui morto attorno al 1381, presenta bellissimi affreschi del sec. XV-XVI. In altra frazione a monte di Sorico, Bugiallo, raggiungibile in auto, sorge la secentesca chiesa di S. Giovanni Battista.

Ombre, al rintocco dell'Ave Maria, nella valle senza strada

La Val Codera vista da San Giorgio di Cola. Foto di M.  Dei CasLa Val Codera, una delle più suggestive ed amate in provincia di Sondrio, in quanto ancora preservata dall’accesso degli autoveicoli per la mancanza di una strada carrozzabile, è anche una delle più ricche di leggende legate ad ombre, presenze inquietanti e stregonerie. Molti anziani raccontano ancora di aver udito, o aver vissuto di persona, incontri con uomini ed animali misteriosi, rivelatisi poi manifestazioni di anime malvagie o di streghe.
La figura più celebre è quella del Valfubia, su cui si narrano diverse storie. Costui era un uomo malvagio, che rubava anche a persone povere, per cui fu condannato a vagare, come un’anima in pena, di notte, assumendo sembianze sempre diverse, ora di uccello rapace, ora di maiale, ora di ombra inafferabile. Dicono che le sue urla lamentevoli fossero davvero impressionanti. Come spesso accade in questi casi, per risarcirsi della sua condizione infelice prendeva di mira quanti si trovassero a transitare da soli su sentieri della valle, o anche uscissero di casa la sera, nella zona compresa fra Codera e Bresciadega. Faceva, quindi, rotolare contro di loro sassi dalle gande, oppure, più spesso, si materializzava improvvisamente, fra le ombre della sera, terrorizzando i malcapitati con un forte soffio. L’unico modo per tenerlo alla larga era munirsi di un rosario: quel segno di devozione e preghiera, infatti, riusciva insopportabile alla sua anima malvagia.

Più inquietante ancora del Valfubia è la figura di un uomo misterioso che terrorizzava, sempre nottetempo, i viandanti sui sentieri nei dintorni di Cola e di San Giorgio.  Codera. Foto di M.  Dei CasLa sua dimora era in una grotta nascosta, da qualche parte nei pressi del sentiero che unisce i due paesi scendendo nel cuore oscuro dell’impressionante vallone di Revelaso. Chi lo aveva visto lo descriveva come un individuo vestito in modo bizzarro, ben diverso da quello semplice ed essenziale dei contadini: portava una giacca nera su pantaloni e stivali marroni. Talvolta di lui si udivano solo rumori, il fruscio dei rami degli alberi che scuoteva per far paura alla gente, oppure si intuiva la presenza, dietro qualche anfratto o qualche fronda, quando i lupi, suoi amici, ululavano nelle notti di luna piena, perché, si dice, se ne stava sempre nascosto a spiare le persone che passavano. Ma non si limitava a questo: altre volte scatenava la sua malvagità giungendo ad uccidere i viandanti, tanto che si era creato un terrore tale che la gente, al calar delle prime ombre della sera, non solo non usciva più di casa, ma vi si chiudeva proprio dentro a chiave, sussultando ad ogni rumore nella soffitta o alla porta di casa. Non si poteva più andare avanti così, ed allora venne decisa una vera e propria battuta di caccia, cui parteciparono tutti gli uomini dei due paesi, ed anche qualche donna coraggiosa. Guidati dal lume della luna e delle lanterne e muniti di robusti bastoni di castagno, costoro setacciarono i boschi della zona. Alla fine la loro tenacia fu premiata, perché apparve, fra gli alberi, l’ombra dell’uomo malvagio, che fu riempito di energiche bastonate e scaraventato nel cuore del vallone, dal quale non riemerse più. Rimasero, di lui, solo i flebili lamenti che, durante i temporali, salivano dalla Caurga. Ma nessuno ebbe più nulla di cui temere, da allora.

Torniamo, ora, verso Codera, e fermiamoci al maggengo di Cii, posto su un bellissimo terrazzo panoramico che guarda al lago di Novate. Qui ci accoglie una delle più classiche storie di stregonerie. Protagonista un giovane di Codera, fidanzato ad una ragazza di Cii. Il ponte sul torrente Ladrogno. Foto di M.  Dei CasUn giorno, mentre si recava a trovarla, si imbattè in una volte misteriosa e, seguendola, si accorse che entrava proprio nella casa della fidanzata. Sbirciando, vide che questa e la madre, vestite della festa, ungevano tempie, polsi e caviglie, pronunciando poi la formula “Tre ur andà, tre ur a sta e tre ur a venì” e volando via attraverso la cappa del camino. Preso dalla curiosità, pronunciò anche lui la formula, ma, essendo furbo, apportò qualche modifica e disse “Un ur andà, un ur a sta e un ur a venì”. Si ritrovò, così, in un grande salone, nel quale erano riunite molte persone, anche morte, mentre un misterioso individuo, dalle gambe caprine, scriveva su un librone il nome dei presenti. Lui tracciò sul librone una croce, perché non sapeva scrivere, ed allora accadde qualcosa di ancora più incredibile: forse perché era un segno che con quel posto non si conciliava troppo, forse per qualche altro motivo, il giovane si ritrovò, nudo e con il librone nero in mano, in cima al pizzo d’Arnasca (così viene chiamato in val Codera il pizzo Ligoncio), proprio sul ciglio dell’impressionante parete liscia che precipita nella valle omonima. Siccome conosceva bene quelle montagne, riuscì a scendere a valle, dove incontrò due donne che gli offrirono una camicia ed un paio di calze, purché gli consentisse di cancellare il loro nome dal libro. Allora capì tutto: la sala misteriosa era un ritrovo di streghe e stregoni, presieduto dal diavolo, ed allora corse dal Vescovo di Como per denunciare i malefici della valle. Questi, nella cattedrale, lesse pubblicamente i nomi segnati sul libro. Ogni volta che un nome veniva pronunciato, la persona corrispondente appariva prodigiosamente. Streghe e stregoni vennero così catturati e mandati al rogo.
Cii. Foto di M.  Dei CasAltre storie si raccontano sulle stregonerie della Val Codera. Una di queste parla di un gatto nero che tenta di aggredire un giovane che saliva a Codera per trovare la fidanzata: il giovane gli taglia una zampa, che si trasforma prodigiosamente in una mano con una fede al dito. Appena giunto in paese, si reca poi da una donna che cerca di lui: entrato in casa, ode il suo lamento, vede un moncone al posto della mano sinistra e capisce che il gatto era lei, e che si trattava di una strega. Ed allora se ne esce con una frase lapidaria: “Se eravate voi e non siete morta, morirete”.
La gente della valle sapeva che spiriti ed esseri malefici potevano scatenare il loro potere dal suono dell’Ave Maria, alle sei di sera, fino ai primi rintocchi del mattino (è un detto diffuso, in provincia di Sondrio, “suna l’Ave Maria, gira la stria”, cioè al suono dell’Ave Maria la strega si mette a girare). Ma il suono di questa campana, la Bàrbula, poteva anche salvare dagli spiriti, quando suonava alle sei di mattina, ponendo fine al tempo loro concesso per insidiare i viandanti. Si racconta che una volta, in particolare, la Bàrbula salvò una donna che era stata costretta a tornare di notte a Codera dopo avere acquistato una medicina a Novate. Incontrò ad Avedèe, località dalla quale si comincia a vedere la valle, quattro uomini con una lanterna, proprio mentre udiva il rintocco dell’Ave Maria. Erano spiriti, e le dissero che se non fosse suonata la campana, l’avrebbero portata via con sé.

I luoghi legati a queste leggende (raccolte, insieme a molte altre, nel volume “C’era una volta”, edito nel 1994 a cura del comune di Prata Camportaccio) possono essere meta di una bella escursione (rigorosamente diurna!) che descrive un elegante anello. Raggiungiamo, dunque, il parcheggio di Mezzolpiano (m. 326), frazione di Novate Mezzola, dove parte una mulattiera comoda e ben curata, che si inerpica sull’impressionante fianco sinistro (per chi sale) della forra della Val Codera. Questo sentiero è, insieme con quello gemello sul lato opposto della valle, l’unico accesso a questa importante valle, il che la rende pressoché unica fra le grandi valli della provincia di Sondrio. La chiesetta di Cola. Foto di M.  Dei CasIl primo centro abitato che si incontra salendo è quello di Avedèe, a 790 metri. Poco oltre, la valle comincia a mostrarsi all’escursionista: appare anche Codera, il suo centro principale. Per raggiungere il paese bisogna però scendere di qualche decina di metri, lambendo, quasi, il fianco granitico della montagna e sfruttando anche due preziosissime gallerie paramassi (i massi sono, infatti, su tracciati come questo la più grande minaccia). Si risale, infine, ad una cappelletta che annuncia il paese, preceduto dal suo cimitero, posto quasi di fronte alla laterale val Ladrogno.

Codera (m. 850) ci accoglie con la chiesa, dal caratteristico campanile. Sul sagrato un possibile prezioso punto di appoggio, il rifugio La Locanda. Sul lato opposto del paese, abitato tutto l’anno, si può raggiungere un secondo prezioso punto di ristoro, l’Osteria Alpina. A questo punto si può lasciare il sentiero principale, che, prima tappa del Sentiero Roma, si addentra nella valle, e scendere sulla destra, seguendo le indicazioni, al ponte sul torrente Codera, piccolo capolavoro d’ingegneria, sospeso su quaranta metri di vuoto. Subito dopo il ponte si incontra un bivio e si prende a destra, raggiungendo ben presto l’impressionante forra terminale della val Ladrogno, valicata da un secondo e non meno ardito ponte. Poi si raggiunge un più tranquillo bosco di castagni: il sentiero, salendo, conduce alle case di Cii (m. 851).
Oltre Cii, il sentiero prosegue nella salita, con traccia meno evidente, ma non lo si può perdere: alla fine si congiunge con il Tracciolino, che, con un tracciato pungo più di dieci chilometri, spesso intagliato nella viva roccia, unisce la Val Codera alla Val dei Ratti, partendo dalla presa d’acqua della Sondel poco sopra Codera e raggiungendo la diga sotto Càsten. Il tracciolino valica il vallone della val Grande, entrando poi in un bel bosco, sul grande dosso di Cola.
La cappelletta posta a guardia del vallone di Revelaso. Foto di M.  Dei CasQui viene tagliato da un sentiero che, percorso in salita (sulla sinistra), conduce a Cola (m. 1018). La salita all’abitato di Cola è uno sprofondare nel grembo del tempo. Qui il silenzio è rotto solo dallo scampanìo delle capre. Il dosso termina alle pendici rocciose che salgono alla punta Redescala (m. 2304), che nasconde il Sasso Manduino.

Se, tornati al tracciolino, lo si lascia subito per seguire il medesimo sentiero, ma in direzione opposta, cioè scendendo verso destra, si incontra una cappelletta, posta, come molte altre, a protezione del viandante che si accinge ad affrontare luoghi insidiosi. Bisogna, infatti, calarsi nel pauroso cuore del vallone di Revelaso, dove massi ciclopici sembrano dire che questo non è posto per uomini. Sul lato opposto, il sentiero supera un punto molto esposto (massima attenzione!), prima di condurre a luoghi più tranquilli, fino a San Giorgio di Cola (m. 748), paese di cavatori di granito, gentile e sorprendente isola bucolica in un mare di forre e precipizi. Dal belvedere ottima è la vista sul lago di Mezzola. Questi luoghi, come testimonia un avello celtico nei pressi del cimitero, hanno visto da tempo assai antico la mano operosa dell’uomo. Se si sale alle spalle del paese e si supera il cimitero ci si ricongiunge, seguendo le indicazioni, verso il tracciolino.

La mulattiera San Giorgio-Novate. Foto di M.  Dei CasPer chiudere l’anello, però, bisogna procedere in direzione opposta, imboccando un’ardita mulattiera che aggira, sulla destra, la cima dello sperone roccioso su cui poggia il paese, si porta sul lato opposto e scende sul suo fianco aspro e selvaggio. Anche qui la montagna incombe sul viandante, senza però farsi mai veramente minacciosa. Superato un ultimo tratto in un rado bosco, si giunge al termine della mulattiera, e si scende, per una strada sterrata, a Campo di Novate, dove una comoda strada ci riporta al parcheggio di Mezzolpiano, dopo circa 5 ore di cammino, necessarie per superare un dislivello approssimativo di 900 metri.