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Archeologia industriale – le filande - Claudio
Corbetta, da "Passaggi: Guida alla Brianza lecchese" , Ed. LOGOS
Nell'area che ci interessa, la Brianza
lecchese, l'industrializzazione è stata portata avanti, invece, intorno al
settore della produzione serica, che si è innestato con naturalezza nel
sistema agricolo, mantenendone sostanzialmente invariate le caratteristiche
socio-economiche, senza originare massicci fenomeni di urbanizzazione. Solo
nel secondo dopoguerra, tramontata ormai da decenni la seta, l'agilità,
l'estro, l'organizzazione poco costosa di numerose imprese famigliari, hanno
introdotto una diversificazione delle attività, portando la Brianza ad essere,
a livello nazionale, una delle aree produttive più sviluppate e resistenti
agli inevitabili alti e bassi dell'economia. Ciò a costo di una perdita di
valori paesaggistici che la filanda non aveva mai intaccato, nel corso
dell'Ottocento, nemmeno quando la produzione era salita a livelli record.
Attestata
soprattutto nella fascia dei laghi e sulle alture del Monte di Brianza, la produzione della seta costituiva una delle principali
voci dell'esportazione;
mentre il comasco era rivolto prevalentemente alla tessitura, il lecchese era
attivo quasi unicamente nella trattura e nella filatura della seta greggia,
che veniva destinata in parte al mercato nazionale, in parte al mercato
estero, soprattutto francese e inglese.
Alla fine del Settecento, la
produzione non più condotta a livello famigliare, trovò un'iniziale
sistemazione all'interno delle cascine, dove alcuni portici cominciarono ad
essere ampliati e occupati dalle bacinelle per la trattura del filo. Erede di
questo tipo di insediamento fu la corte produttiva (Filatoio Zero a Ello),
nella quale convivono architetture rurali e organizzazione industriale.
L'ampliamento delle strutture fu rapido e precoce: già negli anni '40 si
contavano una media di 60 addetti per filanda, negli anni Sessanta la
produzione del lecchese era pari a quella dell'intera Lombardia, negli anni
Settanta, la concentrazione delle unità produttive nelle mani di pochi,
illuminati imprenditori (Gavazzi, Ciceri, Abegg), permise un'innovazione
tecnologica continua e un miglior utilizzo delle risorse che portarono a un
vero e proprio decollo del settore. In memoria del ruolo di queste grandi
famiglie, e a testimonianza dell'impressionante sviluppo della produzione
serica, rimane a Garlate il Museo della Seta Abegg, sorto nel 1953 nei locali
di una delle filande della famiglia.
Il settore divenne ben presto
molto redditivo, ma nonostante ciò, il legame tra industria e agricoltura
continuò a costituire il limite principale di questa attività e fu una delle
cause principali del crollo, avvenuto a inizio secolo, quando dall'oriente si
cominciarono ad importare filati sintetici, prodotti su scala industriale con
minori costi.
E' quindi tra gli anni '40 e
'60 del secolo scorso che si diffonde e si definisce, in pochi elementi, il modello standardizzato della filanda: pianta rettangolare allungata, alzato su
tre o più piani, finestroni lungo tutto il perimetro ad illuminare le file di
bacinelle poste negli stanzoni, copertura a capanna, assenza di elementi
decorativi. Questi edifici non ebbero mai un forte impatto sul tessuto urbano
dei paesi: per ragioni di funzionamento, venivano infatti collocati al di
fuori delle città, nelle campagne e sulle colline dove si potevano trovare in
abbondanza acqua e legname, indispensabili per la produzione. Attorno ad essi
sorgevano spesso alcune abitazioni per le operaie, che provenivano in genere
dalle famiglie contadine di qua e di là dall'Adda e che tornavano a casa nei
fine settimana. Per questo intorno alle filande non si svilupparono mai
villaggi operai, fatta eccezione per quello sorto a Valmadrera, intorno alla
Filanda Gavazzi: è questo un caso unico di insediamento che ha sconvolto
l'aspetto rurale del paese; i Gavazzi ne controllavano la vita sociale ed
economica, promuovendo anche lo sviluppo di strutture sociali e scolastiche
secondo il modello diffuso della "città sociale", amministrata di
fatto dall'imprenditore.
Altri esempi di filanda
ottocentesca standardizzata sono presenti a Ello (Filanda Redaelli, Filatoio
Redaelli Dell'Oro, Filatoio Zero), a Valgreghentino (Complesso serico Longhi
Sironi), a Brivio (Filanda Carozzi).
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Ex Filanda Abegg (XIX sec.) Il complesso è
oggi sede di uno dei primi musei della seta realizzati in europa, inaugurato
nel 1953; disposto su due piani, il museo espone torcitoi e antichi
macchinari per le manifatture seriche che vanno dal '700 al '900, che
illustrano l’evoluzione degli "attrezzi" nell’industria serica.
 
veduta dall'alto del Museo della seta di Adegg / Filatoio
Si tratta di un museo civico di proprietà
del Comune di Garlate, sorto nell'antico edificio che una volta era una
filanda di appartenenza agli Abegg, famiglia di origine svizzera e
proprietaria di numerose altre filande in zona. Dopo la dismissione
dell'attività industriale a metà anni '50, e su precisa indicazione degli
Abegg che non ne venisse disperso il patrimonio, costituito da macchinari
molto complessi, la gestione dal 1976 è passata al comune attraverso la
contestuale istituzione del Museo Civico.
Il patrimonio presente nella collezzione
del Museo Abegg è di rilevante importanza, non solo per l'unicità dei pezzi
presenti, ma anche per la loro funzionalità: si tratta infatti dell'unico
museo al mondo dedicato alla storia della lavorazione della seta in tutti i
vari aspetti che l'hanno contrassegnata, dall'antichità ad oggi,con una
introduzione relativa alla vita del baco da seta. La particolarità della
collezione, dovuta al gran numero di macchinari esposti e risalenti a
periodici storici differenti (l'intervallo temporale abbraccia un periodo che
va dal '600 ai giorni nostri) , e soprattutto al fatto che le singole
macchine (anche le più antiche) sono ancora perfettamente funzionanti, dà
l'idea dell'importanza del museo e degli sforzi che sono stati fatti per
tenerne alto il prestigio.
In virtù della complessità della
spiegazione della funzionalità di ogni reperto, la gestione dell'itinerario
di visita è perora affidato ad una cooperativa culturale attiva anche in vari
Enti della zona lecchese, ma tra poco la messa in opera del percorso guidato
con appositi cartigli descrittivi in doppia lingua, e la relativa spiegazione
tramite audioguide metterà in condizione il visitatore di poter compiere da
solo la visita , avendo poi la possibilità di approfondire le varie tematiche
attraverso il catalogo del Museo.
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Descrizione
- Il
Monte Barro, con i suoi 900 metri, si eleva solitario dalla regione collinosa
compresa tra la Brianza e il Lecchese, a ridosso del lago di Como.
La particolare posizione dell'Eremo (ex sanatorio e ora centro parco) offre
alla vista un panorama molto ampio e variato che comprende l'insieme
prospettico dei laghi prealpini e della circostante Brianza, il lago e la
città di Lecco, il massiccio delle Grigne e dei Corni di Canzo.
Nonostante la sua limitata estensione questo Parco possiede risorse
naturalistiche, storiche e paesaggistiche di indubbia importanza come specie
botaniche di interesse preglaciale, peculiarità geologiche come
l'affioramento a 'concodon' e i massi erratici, aree archeologiche in
località 'Prati di Barra', Eremo e San Michele, reperti di epoca romana lungo
il tracciato dell'antico 'muraioo', la chiesa francescana tardo-gotica di
Santa Maria.
Degno di nota anche il complesso edilizio di carattere agricolo di Camporeso,
ex borgo fortificato. Dal punto di vista agroforestale il Parco è
caratterizzato dalla presenza di estesi e pregiati boschi misti di querce,
tigli, aceri, castagni e robinie; particolarmente pregevole è il bosco che si
estende nella valle del 'Faé', posta sul versante nordovest del monte, con
una parte interamente a faggi.
Il Barro è popolato da numerose specie animali, con particolare attenzione
per l'avifauna molto ricca: numerose le specie di uccelli nidificanti e di
passo che comprendono rapaci diurni e notturni; prezioso il lavoro di
monitoraggio dei migratori svolto dal Parco presso la Stazione sperimentale
del roccolo di Costa Perla.
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Il monte Barro, oasi tra i laghi
E' diventato oasi naturalistica nel 1983 e offre paesaggi mozzafiato.
Oltre mille le specie vegetali presenti
Tra
le sponde dei laghi di Annone e Garlate si erge il Monte Barro, luogo elevato
a «oasi naturalistica» (è Parco dal 1983), e cima massima della
Brianza (922 metri).
Il Monte Barro è un rilievo calcareo-dolomitico; caratterizzato da
un'alta presenza di dolomia, risalente a duecento milioni di anni fa. Sul
Monte Barro sono presenti anche depositi morenici e fluvioglaciali,
nonché massi erratici portati a valle dai ghiacciai che un tempo ricoprivano
quasi completamente il monte, scendendo dalla Valtellina.
Si tratta di un ambiente estremamente interessante e non solo per la
contemporanea presenza di elementi tipici della flora mediterranea (bagolari,
ulivi) e alpina, ma anche per la stessa numerosità delle specie vegetali
presenti, oltre mille. Nei boschi, peraltro, corrono lepri e si
nascondono ghiri e tassi. Sui rami, invece, si annidano uccelli di interesse
superiore, come civette, gufi e picchi.
Le vette sono invece caratterizzate dai «prati magri», distese che
arrivano ad accogliere anche quaranta specie vegetali in un metro quadrato
e che devono la loro origine alle opere di disboscamento legate alle attività
di pascolo o raccolta del legname.
Il particolare nome «magri» viene dal fatto che questi prati si sviluppano
in contesti particolari: su suoli calcarei, non concimati o irrigati.
Dall'Eremo parte un sentiero botanico che porta alla scoperta delle
particolarità floristiche del parco (tra cui specie di limitate estensione
geografica come il fiordaliso retico o il laserpizio insubrico).
Come cima più alta della Brianza, il Monte Barro nella storia ha assunto
un ruolo importante, una sorta di posto di guardia elevato su territori vasti
e diversificati. Oggi la cima ha perso la sua valenza militare e
difensiva ma rimane un luogo panoramico molto interessante: salirvi regala scorci
sul «ramo del Lago di Como che volge a mezzogiorno», sulla cittadina di Lecco
e sui laghi della Brianza settentrionale.
Sulle pendici del Barro è stato infatti rinvenuto un insediamento goto
(datato V-VI secolo): la zona fu infatti un punto strategico anche per i
barbari che vi costruirono un castello. Oggi rimangono tracce dell'antico
castello e di undici edifici. Non restano solo le mura: all'interno degli
edifici si custodivano suppellettili e utensili, giunte sino al nostro
secolo.
L'Eremo è un luogo di forte richiamo all'interno del Monte Barro: la sua
posizione gli ha regalato una storia unica. E' stato un presidio romano,
una rocca longobarda, un convento francescano e anche un hotel (il «Grande
Albergo Monte Barro»): oggi è di proprietà dell'Ente Parco e accoglie
appunto l'Antiquarium, sede di un museo archeologico.
PICCOLO DIZIONARIO
Morena o deposito morenico: accumulo di materiale roccioso disgregato
da un ghiacciaio e trascinato a valle dall'azione dello stesso ghiacciaio.
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