Il Vicolo dei Lavandai

Foto di Mario Micciancio, Testo di Guido Platania

Il sistema dei navigli, che risale al medio evo (nato per portare acqua alle difese milanesi), era talmente frequentato e sviluppato per il trasporto fluviale, che, ancora nel dopoguerra, Milano era il quarto porto commerciale italiano (soprattutto ghiaia e sabbia, ma in enormi quantità).

La zona dei navigli era una delle zone più popolari di Milano. Quell’acqua che oggi a noi sembra così affascinante era considerata una volta solo simbolo di umidità e base di cattivi odori. D’altronde è forse qui che sono rimaste le tracce più concrete non della nobiltà milanese che frequentava le opere e la Scala, ma di quelli che con il lavoro giornaliero ed assiduo, con i trasporti, con l’artigianato, hanno permesso a Milano di essere nei secoli quel simbolo borghese dell’industriosità produttiva.

Il vicolo si trova sull’alzaia del Naviglio Grande (ricordo che l’alzaia era il lato del naviglio dove passavano i buoi che dovevano trainare le bettoline controcorrente). Un rigagnolo passa attraverso il Vicolo dei lavandai e raggiunge il naviglio. Qui sotto una tettoia coperta ci sono ancora le vecchie pietre utilizzate per lavare i panni (la cattiva lavandaia non trova mai la pietra buona). Penso che oggi sia il punto più pittoresco di Milano.

Non a caso in questo vicolo e nei dintorni ci sono gli studi di diversi pittori. All’interno degli androni si trovano i vecchi  cortili milanesi, con le case di ringhiera, una volta pieni di minuscole botteghe artigiane che ancora di tanto in tanto è possibile trovare.

Abbiamo visitato alcuni di questi studi e ci siamo resi conto che anche il pittore è un artigiano che travasa nella pittura  con i mezzi che ha scelto, il suo modo di vedere il mondo. Guardando quei quadri ci rendiamo conto di vedere quello che ci circonda con altri occhi che non sono i nostri.

C’è lo studio di Ljuba, originaria di Lubiana, che con stile Naif dipinge su vetro. Un arte difficile, perché non si può correggere quello che si è dipinto. Infatti i colori in primo piano rimangono coperti dai successivi.

Nello studio accanto c’è un vecchio milanese che ama dipingere la gente che lavora. “E’ logico che quello che dipingo non è identico alla realtà, è come io lovedo, altrimenti sarei come un cartolinaro,”

In un altro studio c’è un’altra atmosfera, senz’altro più sofisticata, mentre donne, una più bella dell’altra, ci guardano dalle cornici, parlandoci attraverso i loro occhi.

Che dire poi dell’acquarellista che racconta sorpreso di come una copia, per quanto identica all’originale, non viene valuata economicamente come l’originale stesso. D’altronde è logico, una copia è lavoro di una macchina, l’originale è opera dell’uomo e della sua sensibilità