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Venerd́ 11 Marzo 2011 |
Transiberiana di Silvia Pedicini |
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I giorni in treno sono tanti ma volano. Un po' come in una crociera a secco, si sta lì seduti su vagoni con la tappezzeria a fiori un po' kitsch ed i tappeti finto persiani in corridoio, ma infinitamente migliori di quelli italiani in quanto a pulizia e comodità, e, a velocità non proprio da brivido, circa 70km all'ora di media, si attraversano la Siberia, le steppe mongole, il Deserto del Gobi e la campagna cinese. Alla fine è Pechino, con i sui contrasti e i cambiamenti rapidi che ancora faticano a trascinare via la tradizione, punto di arrivo di un unico filo che unisce Mosca, la porta dell’Europa sull’Asia, al lontano Oriente, tra foreste e stazioni remote dove le babushke vendono cibo ai viaggiatori e l’inverno è ancora capace di inghiottire chi si allontani troppo dai binari. Un unico filo che dall’Arbat arriva alla gentilezza e al sorriso delle genti di Mongolia, alla bellezza di paesaggi selvaggi ed incontaminati, fino ai misteri della Città Proibita e al luccichio dei grattacieli del nazionalismo che forse divorerà il mondo.
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