Piazza Belgiosioso e Via degli Omenoni –

Testo di Lisa Garavaglia

 

 

Arrivando da Corso Vittorio Emanuele, prendiamo per via S.Paolo e raggiungiamo piazza Meda, la attraversiamo e passiamo sotto l’arco che ci separa da piazza Belgioiso, dove troviamo il palazzo Belgiosioso e la casa del Manzoni

Piazza Belgioioso

Piazzetta Belgioioso prende il nome dall’omonimo palazzo costruito da Giuseppe Piermarini (il medesimo architetto settecentesco che progettò la Scala) su incarico della famiglia Belgiojoso. Qui, nel 1993, si è suicidato sparandosi un colpo alla testa  l'industriale e finanziere Raul Gardini implicato nell’indagine di Tangentopoli.

Nella stessa piazza sorge la casa acquistata nell'aprile del 1813 da Alessandro Manzoni in cui   vi si trasferisce all'inizio dell'anno successivo con l'amata moglie Enrichetta Blondel. Probabilmente incidono sulla scelta la posizione centrale ma tranquilla, il grande giardino, oggi di proprietà della Banca Commerciale, e l'affaccio sulla piazza Belgioioso. Proprio la sistemazione della piazza Belgioioso dà luogo tra il 1861 e il 1864 ai lavori di rifacimento delle due facciate della casa di don Alessandro su progetto dell'architetto Andrea Boni con decorazioni in cotto. Dopo la morte del Manzoni, il palazzo cambia diversi proprietari: si disperdono così numerosi cimeli e arredi e anche l'aspetto dell'edificio viene alterato. Nel 1937 la casa viene acquistata dalla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde e donata al Comune di Milano perché sia ceduta in uso perpetuo al Centro Nazionale Studi Manzoniani istituito nello stesso anno.  I restauri tra il 1961 e il 1965 hanno ripristinato la struttura e la maggior parte degli arredi dell'appartamento padronale, sede del Museo, com'era al tempo di Manzoni, comprese le decorazioni in cotto della facciata, ritrovate in un giardino in campagna.

 

 

Da piazza Belgioioso parte la corta viuzza di Via degli Omenoni (Omoni in milanese). La strada è nota giusto per il palazzo degli Omenoni.

Da lì si sbocca in Via Case Rotte. E’ un nome un po’ strano che ha una ragion d’essere.

In questa via avevano le case i Torrioni (o Della Torre), signori di Milano prima dei Visconti.

Ricordiamo che esiste ancora una via Napo Torrioni (dalle parti della stazione Centrale).

 

VIA DEGLI OMENONI

 

Questa stretta via prende il nome da una piccola casa detta degli Omenoni (in via Omenoni 3), dimora cinquecentesca di Leone Leoni, un aretino (1509-1590), celebre scultore, ma anche medagliere e orafo che, artista apprezzato e di successo, condusse vita sregolata e dominata da vizi e passioni.

Il Leoni, nato ad Arezzo nel 1509, era dotato di una personalità piuttosto irrequieta. A Padova nel 1537 cerca di avvelenare un rivale in arte (Benvenuto Cellini) con cibi miscelati a polvere di diamante. Divenuto orafo pontificio a Roma come sostituto del Cellini stesso, Leone accoltella un sorvegliante della Zecca. Poi resta vittima di un agguato e ne porterà per sempre le conseguenze: uno sfregio. Viene incarcerato e torturato. Dietro minaccia che analoga sorte verrà riservata a madre e moglie, confessa non si sa bene quale reato e viene condannato al taglio della mano, cioè alla morte come orafo. La pena viene poi commutata in reclusione per 10 anni, ma l’intervento di due suoi amici, l’Aretino e Andrea Doria, ne consentono la scarcerazione. Trasferitosi a Venezia il Leoni infligge una pugnalata alla sommità del cranio di un allievo. Ma ancora una volta lo assolvono perche’ riesce a dimostrare di aver voluto solo intimorire l’avversario. L’Inquisizione lo arresta con l’accusa di empietà ma l’imperatore Filippo II, suo amico, lo fa scarcerare. Il Leone a questo punto viene a Milano dove si costruisce la casa degli Omenoni. Leoni, che fu anche raffinato collezionista, raccolse nel suo palazzo tesori d’arte, tra cui statue antiche e moderne inviate da Roma oltre a quadri di contemporanei italiani e spagnoli: la sua collezione comprendeva un Correggio e “un cavallo in rilievo” modellato da Leonardo. Alla sua morte, nel 1590, il figlio Pompeo, anch’esso scultore, tornò a Milano arricchendo la collezione paterna di altri preziosi souvenir, tra cui la raccolta dei “Disegni di Machine et delle Arti Secrete et altre cose” di Leonardo da Vinci, altrimenti conosciuto come Codice Atlantico.

Il palazzo prende il nome dalle sei cariatidi – o telamòni, trattandosi di figure maschili– ribattezzate subito dai milanesi “Omenoni” (omoni), scolpite da Antonio Abbondio, detto l’Ascona (1538-1591), probabilmente su bozzetto dello stesso Leoni. E rappresentanti uomini barbari sottomessi da Roma.  Al livello inferiore, si osserva un portale arcuato di modesta ampiezza che è affiancato da due possenti telamòni che, nudi fino alla cintola, escono all’altezza del ginocchio dalla parete adiacente a reggere il leggero balcone a parapetto di ferro che corona il portale. Ai suoi lati altri sei telamòni, tre per parte reggono la cornice del piano superiore che, in corrispondenza dei colossi, ha altrettante colonne d’ordine ionico, poste su piedistalli della stessa altezza del davanzale. Nel mezzo, si apre una finestra balcone, con timpano curvo spezzato e sorretto da figure femminili. In alto, sotto il cornicione, riquadri rettangolari formano un contorno a basse finestrelle cieche. La grondaia riccamente decorata è retta da mensole con figure di chimere. Sopra le colonne è presente un fregio a bassorilievo dove i leoni, allusivi al nome dello scultore, si alternano ad aquile reggenti festoni.  Nel mezzo del fregio è posta una scultura allegorica dove la “calunnia” sotto le sembianze di un satiro si contorce sbranata da due leoni (ancora con riferimento allo scultore stesso). L’intenzione allegorica di questa scultura è certa: rappresenta una  minaccia e un ammonimento feroce: CAVE LEONEM (attenti al leone !).